Il vertice di ieri a Roma fra i funzionari italiani e tunisini non ha sbloccato il nodo dei rimpatri, che sono ancora troppo pochi e lenti con due soli voli charter alla settimana. L'obiettivo del Viminale «è di velocizzare le espulsioni». Però gli esperti hanno lavorato per preparare il vertice politico tra i due ministri dell'Interno, da organizzare nel Paese africano entro la prima settimana di ottobre. Non a caso il responsabile del Viminale e vice premier, Matteo Salvini, ha trasmesso un messaggio «di particolare attenzione» al vertice. L'incontro fra i due ministri servirà anche per discutere di sicurezza e cooperazione tra le forze di polizia di Italia e Tunisia.
Il vero ostacolo per aumentare e accelerare i rimpatri in Tunisia è la grave crisi politica che sta attanagliando il Paese. Da mesi è in atto un braccio di ferro fra il premier Youssef Chahed e una fetta del partito al potere guidata da Caid Essebsi, il figlio del presidente tunisino. Il primo ministro è stato addirittura sospeso da Nidaa Tounes, il partito di maggioranza del capo dello Stato. Il Parlamento è paralizzato dalla lotta di potere e concedere qualsiasi cosa all'Italia in questo momento è molto difficile. L'inattività parlamentare ha bloccato gli sforzi per fronteggiare la crisi sociale ed economica, che sta spingendo tanti tunisini ad imbarcarsi verso il nostro Paese. L'assurdo è che il premier non intende dimettersi fino a quando non lo chiede il Parlamento, dove non ci sono i numeri per la sfiducia. Chahed è sostenuto non solo da un gruppo di deputati di Nidaa Tounes, ma soprattutto da Ennadha, il partito di ispirazione islamica che fa parte della maggioranza di governo. Gli islamici hanno respinto la richiesta di dimissioni perché sarebbe un disastro per la stabilità del paese, prima delle agognate riforme economiche.
Non sarà facile per il nuovo ministro dell'Interno, Hichem Fourati, assumersi in questo momento la responsabilità di aprire alle richieste del Viminale cambiando gli accordi sui rimpatri in senso migliorativo. Per non parlare del fatto che «nuovi» accordi dovrebbero probabilmente passare al vaglio del Parlamento bloccato dalla faida politica. Per tamponare le partenze via mare l'Italia e l'Europa hanno capito che devono aiutare finanziariamente la Tunisia. Nel nostro piccolo la Cooperazione ha appena firmato un accordo per un progetto di 5 milioni di euro nelle zone rurali del sud, dove si annida la povertà, serbatoio dei giovani clandestini. E in questa zona la polizia tunisina non è molto attiva.
Ben più ingenti i finanziamenti di otto fondi internazionali per 5,5 miliardi di euro previsti per la Tunisia. Il commissario Ue, Johannes Hahn, ha spiegato che i soldi serviranno ad aiutare la giovane e ancora fragile democrazia tunisina. L'Italia ha giustamente esercitato pressioni a Bruxelles per destinare una parte consistente del Fondo per l'Africa proprio alla sponda sud del Mediterraneo.
Nel frattempo la squadra mobile di Agrigento ha arrestato quattro scafisti tunisini per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, che erano a bordo del barcone in legno che giovedì scorso è arrivato a Lampedusa con 70 tunisini.
Uno degli scafisti, Mohamed Gdiri, ha addirittura minacciato con un coltello i clandestini durante la traversata intimando: «Con le forze dell'ordine italiane non si parla, non si racconta nulla». E ieri sono stati fermati a Licata altri quattro tunisini sbarcati da un barchino di sei metri probabilmente partito da una nave «madre» al largo.
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