La diplomazia si muove e la Russia riapre timidamente i rubinetti di gas. Una buona notizia in vista di una stretta sui consumi che si annuncia quasi inevitabile. Come ha scritto Il Giornale e come ha confermato ieri in un'intervista alla Stampa l'ex amministratore delegato dell'Eni e presidente di Acciaierie d'Italia Franco Bernabè gli stoccaggi italiani (saliti ieri al 91,36%, con una media europea all'89,61%) «non basteranno, ci vorrà un flusso continuo dall'estero». È necessario dunque, dice Bernabè, «ottimizzare le disponibilità con una strategia di razionamenti».
In questi giorni i consumi previsti, grazie al clima ancora non eccessivamente freddo, sono di circa 140 milioni «perché la domanda di gas è scesa, molte industrie hanno ridotto i consumi, hanno cancellato gli ordini oppure non sono in grado di garantire i pagamenti», osserva l'esperto Edoardo Beltrame. E senza l'arrivo del gas russo gli stoccaggi non bastano.
Ieri sono arrivati circa 10 milioni di metri cubi di metano dalla Russia via Tarvisio, fermi prima del confine con l'Austria dal primo ottobre per motivi «tecnico normativi». Il merito è di Eni che ha risolto l'impasse pagando 20 milioni di euro alla società di dispacciamento austriaca, consentendo così la ripresa della fornitura da parte di Gazprom dopo la nuova normativa che prevedeva, tra i vari adempimenti, un deposito cauzionale da versare all'operatore austriaco. Gazprom non vi avrebbe adempiuto e sarebbe così subentrata Eni, come peraltro aveva promesso nei giorni scorsi l'ad Claudio Descalzi («vediamo se riusciamo a subentrare e fare questo sforzo», era stato l'auspicio). La dorsale di Tarvisio è cruciale perché alimenta il triangolo industriale della Pianura Padana, senza grande sforzo, come ha ricordato ieri al Fatto Quotidiano Nicola Armaroli, chimico del Consiglio nazionale delle ricerche, anch'egli scettico sulla «garanzia» degli stoccaggi.
Il governo intanto corre ai ripari e punta sulle rinnovabili. Il Consiglio dei ministri ha approvato la costruzione di otto impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili (energia eolica, fotovoltaica e geotermica) tra Puglia, Basilicata e Toscana e il completamento del metanodotto «Sulmona-Foligno», uno dei cinque tratti funzionalmente autonomi della cosiddetta «Linea Adriatica» dei gasdotti, nonostante il no di Abruzzo e Umbria.
L'allarme sui prezzi delle bollette e sulle ricadute di questa fiammata non si arresta, anzi. Se i Comuni chiedono almeno un miliardo per non fermare i tram, le Regioni sono col fiato corto: così si rischia un taglio «imprevisto» alla spesa per la sanità. Ieri il prezzo del gas al famigerato indice Ttf di Amsterdam - che per la Ue ormai «non è più rappresentativo» - ha chiuso a 175 euro al megawattora (+8,3%). Un balzo determinato soprattutto dalla decisione (inaspettata) dell'Opec+ di tagliare la produzione di petrolio di 2 milioni di barili al giorno. Il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani conferma il suo ottimismo: «Ci sono oltre 40 milioni di metri cubi di gas per gli stoccaggi e tra i 18 e i 20 milioni esportati», sottolinea. «Ma quel gas non può fermarsi né essere bruciato come fanno i russi - replica Beltrame - chi lo ha comprato lo deve vendere.
Oppure potrebbe essere utilizzato per produrre energia elettrica come hanno fatto i tedeschi, mettendo sul piatto 200 miliardi». Soldi che hanno indispettito i nostri politici, a corto di risorse ma soprattutto di idee.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.