La mattanza di Jacarezinho: una favela trasformata in un poligono di tiro. Bum, bum, bum, fino a contare almeno venticinque corpi per terra: uno di un agente di polizia, gli altri di narcos. Pesci grandi, pesci piccoli, passanti ignari: tutti finiti nella rete della morte.
Un'operazione così la polizia brasiliana non la conduceva da anni. Il blitz più sanguinoso nella storia della città, che la sezione locale di Amnesty International ha definito un «massacro». Un bilancio spropositato anche per la periferia più degradata di Rio de Janeiro, una terra di nessuno che brulica di emarginazione, povertà, malaffare, violenza, pericoli. Un territorio dove la vita vale davvero poco, ma venticinque «pochi» fanno tanto orrore. Al punto che la Procura di Rio ha annunciato l'apertura di un'indagine sull'operato della polizia civile della metropoli brasiliana. Che da parte sua respinge ogni responsabilità: l'operazione sarebbe stata «ben pianificata» ma «criminali, banditi, trafficanti e assassini hanno cercato di uccidere i poliziotti e non c'è stato altro da fare che respingere questa aggressione ingiusta». Una ricostruzione probabilmente di comodo, perché secondo alcuni testimoni sarebbe stata l'uccisione di un poliziotto raggiunto da un colpo alla testa nelle fasi iniziali del blitz a caatenare la furia cieca dei suoi colleghi, animati dal desiderio di vendetta. Spari ad altezza uomo di prima mattina, nell'ora in cui i bambini vanno a scuola le donne a fare la spesa. Chi c'era c'era. Bum bum bum.
L'inferno è iniziato di prima mattina. Un'operazione cinematografica, che ha coinvolto duecento agenti, mezzi blindati, elicotteri che hanno reso l'atmosfera livida e angosciosa. La Policìa Civil dopo il massacro ha detto di avere agito per stroncare il reclutamento di minori da parte dei narcotrafficanti in quella che è considerata la favela-santuario del narcotraffico brasiliano, base del gruppo criminale Comando Vermelho, ma questa giustificazione convince pochi: «Tutti sanno che queste gang utilizzano minori. Sostenere di aver lanciato un raid dopo averlo scoperto è una barzelletta», spiega il sociologo Ignacio Cano a O Dia.
La polizia di Rio ha una reputazione pessima, la sua mano è troppo pesante perfino per una città in cui la criminalità agisce come contropotere in alcuni quartieri della sterminata periferia. Per questo nel giugno scorso la Corte Suprema in una sentenza aveva vietato alle forze dell'ordine di effettuare operazioni non comunicate alle autorità regionali. Nel primo mese successivo alla sentenza le vittime della polizia in Brasile erano scese del 70 per cento e gli omicidi del 48. Quindi, che bisogno c'era di tanta spietatezza?
Sul massacro di Jacarezinho è intervenuto anche l'Onu che, per bocca dell'Ufficio per i diritti umani, ha chiesto un'«indagine indipendente» e ha invocato una riforma che ponga finalmente fine al «circolo vizioso di violenza letale» nelle zone più povere ed emariginate del Brasile.
Ieri a Jacarezinho, circa due chilometri a Nord del Maracanà, si sono svolte manifestazioni spontanee contro la polizia. Lacrime, rabbia, dolore, propositi di vendetta.
Rio sanguina e probabilmente lo farà ancora di più. Polemiche in tutto il Paese, sotto attacco anche il presidente Jair Bolsonaro, la cui attitudine autoritaria sarebbe stato una sorta di mandato morale alla mattina nera di Rio.
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