E adesso diventa concreta la possibilità che le intercettazioni di Perugia, quelle che hanno rivelato tutto il marcio nel Consiglio superiore della magistratura, a partire dai rapporti occulti con la politica e dal mercato delle nomine, vengano messe al rogo, cancellate come se non fossero mai state realizzate. Ormai il loro contenuto è noto, e ci vorranno anni prima che l'immagine della giustizia italiana possa riprendersi. Ma mercoledì prossimo la Corte Costituzionale potrebbe aprire la strada alla neutralizzazione di quella valanga di chiacchierate dal vivo e in chat. Tutto nullo, tutto inutilizzabile. Resterebbe il fango, ma sparirebbero le sue conseguenze concrete.
In calendario, davanti alla Consulta, c'è la questione sollevata da Cosimo Ferri, già magistrato e membro (di destra) del Csm e oggi deputato di Italia viva, il parlamentare che più di tutti compare nelle intercettazioni: sia come interlocutore diretto di Luca Palamara, il leader della corrente di Unicost travolto dall'indagine, sia in generale come king maker di buona parte delle nomine, sull'asse dei rapporti sotterranei tra magistratura e politica. Ferri solleva un problema reale: i trojan della Procura di Perugia piazzati sul cellulare di Palamara hanno intercettato di fatto anche lui, che come onorevole non poteva essere sottoposto ad ascolto senza l'autorizzazione della Camera. Una violazione che la magistratura ha compiuto in altre inchieste, spiando di rimbalzo le conversazioni di deputati e senatori. Ma che in questo caso ha assunto dimensioni enormi. Così Ferri ha sollevato un conflitto di attribuzioni tra due poteri dello Stato: il Parlamento, con le sue prerogative, e la magistratura che le intercettazioni ha disposto, effettuato e utilizzato. Compreso il procuratore generale della Cassazione che le ha utilizzate per mettere sotto procedimento disciplinare Palamara e company.
Per dopodomani la Corte Costituzionale ha messo in calendario solo il primo esame, quello sulla ammissibilità. La Consulta potrebbe dire di no, sostenendo che il conflitto tra poteri dello Stato può essere sollevato solo dalla Camera nella sua interezza e non da un singolo deputato. Ma andrebbe a sbattere, fa presente Ferri nel suo ricorso, contro la sua decisione che a suo tempo dichiarò ammissibile il ricorso di alcuni deputati del Pd contro la legge di stabilità del primo governo Conte. Quindi superato il primo scoglio, la Cassazione tra qualche mese dovrà entrare nel merito. E lì potrebbe accadere di tutto. Perché se Ferri vincesse, salverebbe quasi sicuramente anche tutti i suoi interlocutori, a partire da Palamara: perché a quel punto - come stabilito dalla Cassazione nel 2012 - le intercettazioni non potrebbero essere più usate neanche contro di loro.
Le pressioni perché tutto finisca in sabbia, come si può immaginare, sono forti: anche perché nella rete a strascico della Procura di Perugia sono finiti persino gli uomini del Quirinale.
E in buona parte della magistratura è palpabile in questi giorni il dissenso verso l'utilizzo che i pm del capoluogo umbro hanno fatto dell'enorme materiale raccolto, depositando alla fine delle indagini anche intercettazioni che secondo il loro stesso parere non avevano rilevanza penale e non erano nemmeno collegate ai reati per i quali alla fine è stato deciso di portare Palamara sotto processo. A Perugia sapevano benissimo che nel giro di un attimo dopo il deposito tutto sarebbe finito sui giornali: come è accaduto puntualmente, trascinando nel «caso Palamara» anche un buon numero di insospettabili.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.