"Rischio di finire sul lastrico per colpa della burocrazia"

Il re dei braccialetti Cruciani beffato a Forte dei Marmi «Danni per milioni, il Comune si è rimangiato un accordo»

"Rischio di finire sul lastrico per colpa della burocrazia"

Luca Caprai è conosciuto in tutto il mondo come un imprenditore serio. Con la sua prima creatura, Cruciani, ha venduto milioni di braccialetti in pizzo macramè in tutto il mondo. La sua seconda creatura, il marchio Semiramide, l'ha lanciata dopo aver lasciato Cruciani, che continua a produrre capi in cashmere ma anche i famosi braccialetti. Siamo nel 2005, e Caprai, da sempre legato a Forte dei Marmi, decide di aprire un negozio in un palazzo storico di proprietà del Comune. Ma il giorno in cui si aggiudica il bando iniziano i guai. Un calvario, che ha costretto l'imprenditore a una causa milionaria.

Ci racconti tutto dall'inizio.

«Dopo aver lasciato la Cruciani, ho fondato Semiramide e ho coinvolto un grande gruppo internazionale per aprire il primo negozio a Forte dei Marmi, come a suo tempo per i braccialetti».

Perché è così legato a Forte dei Marmi?

«Perché è una località di raro turismo internazionale, come Capri e forse Taormina, posti dove passa il mondo».

Quindi decide di aprire un grande negozio.

«A ottobre 2015, il Comune di Forte dei Marmi fa un'asta per ristrutturare il centralissimo Palazzo Quartieri e affittare il pian terreno. In genere a Forte i negozi sono molto piccoli, invece qui, ristrutturando, si potevano avere 150 metri e 5 vetrine. La prima asta va deserta. Alla seconda presento un'offerta. Il valore dell'investimento immobiliare è di circa 1 milione 619mila euro. Io pago 6 anni di affitto anticipati, la cauzione, fornisco fideiussioni per il 110% per il valore delle opere da ristrutturare, l'acconto all'impresa. Insomma, cifre molto importanti».

Quando iniziano i guai?

«Dopo il sopralluogo, l'impresa da me scelta avverte che rispetto al capitolato del Comune ci sono differenze macro: infiltrazioni, problemi strutturali e poi l'immobile era pieno come un magazzino, per iniziare i lavori bisognava svuotarlo. Io chiedo al Comune di occuparsene. Ma era stato scoperto il vaso di Pandora».

Si spieghi.

«A maggio arriva l'interpellanza dell'architetto: aveva scoperto che il Comune nel fare il bando aveva dimenticato di chiedere il permesso alle Belle Arti. Chiedo spiegazioni e il sindaco Umberto Buratti mi rassicura: «Pazienti e tutto si sistema».

Ma a stagione iniziata resta senza niente in mano.

«Tra maggio e giugno vado dall'avvocato Antonia Rita Augimeri, perché rischio di non aprire, di riportare danni economici, di reputazione, di perdere contratti e centinaia di migliaia di euro di merce ordinata. L'avvocato chiede al Comune un urgente incontro per trovare delle soluzioni. Ma il Comune ci dà appuntamento solo l'8 luglio 2016, quando la stagione è già persa. All'incontro ci sono il sindaco, l'avvocato del Comune e il segretario generale, che dice: Questo contratto è nullo per un vizio procedurale. Immagini lo choc! Non chiedo i danni ma solo la restituzione dei soldi sborsati. Mi dicono: va bene».

Ma la questione non si risolve.

«Il giorno dopo l'avvocato del Comune manda al mio avvocato una bozza di transazione. Dopo di che il Comune cambia strategia e mi accolla la responsabilità di non aver fatto i lavori. Addirittura mi scrive un assessore intimandomi di iniziarli entro il 15 settembre».

Alla fine cosa succede?

«Per legge mi hanno rimborsato i 200mila euro che avevo versato per i canoni, pensando di chiudere. Un mese fa abbiamo chiesto la negoziazione assistita, ma il Comune l'ha rifiutata. Tutto questo mi ha danneggiato tanto da mettermi in difficoltà finanziarie. Ho chiesto 6,5 milioni di danni a cui si sommeranno interessi, rivalutazioni monetaria e spese legali. Li chiederò al Comune e ai singoli soggetti che hanno gestito la vicenda.

Andrò avanti fino a sentenza definitiva e voglio giustizia e soddisfazione. Ma c'è un'altra cosa: il Comune era obbligato a creare un fondo per sostenere la causa ma ha deciso di non farlo. Se perde, saranno i cittadini a pagare».

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