È tornato a Roma come un poeta e un gran lombardo, Umberto Bossi. Ed è un ritorno sia di immagine che di un uomo che ha rappresentato per decenni la riscossa di un Nord negletto perché virtuoso e produttivo, ma strangolato dalle burocrazie romane, violato nella sua autenticità e trascurato nella sua cultura.
Bossi ha passato un brutto periodo per la sua salute e l'ha superato bravamente come già ha fatto altre volte. Ma stavolta è tornato portando con sé questo tratto netto e romantico della parola lombarda. Le sue poesie, che io non so giudicare letterariamente ma che mi sembrano straordinarie nel minimalismo ritrattista, sono fatte di immagini familiari: quella di una nonna che sferruzza un maglione per il nipote che vedrà solo due volte l'anno o per i giovani lasciati appassire nella terra. L'ultima volta che vidi Umberto era seduto ai tavoli del caffè Giolitti a un passo da Montecitorio. Uno di quei tavoli dove molti decenni prima incontravo Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre quando si fermavano a Roma d'estate negli anni Sessanta per discutere di letteratura e bisticciare clamorosamente come vecchi amanti. Umberto Bossi è tornato sia come senatore della Repubblica che come poeta e ambasciatore della sua terra: la voce del Nord ormai afona dopo una stagione in cui la sua antica e gloriosa Lega si è trasformata in un massiccio partito nazionale e anche romano, campano, onnicomprensivo e multitasking e - se proprio vogliamo dirlo - anche allegramente terrone, con tutti quei begli accenti campani e siculi e calabri cui è stata applicata la sagoma dorata di Alberto da Giussano che precede in battaglia le sue truppe a spada sguainata. Bossi aveva creato il marchio della Lega che conteneva il monosillabo oggi perso: Nord, che era anche la ragione d'essere oltre che sociale di quel movimento in origine federalista e rivoluzionario in senso iper democratico. L'ultima volta che vidi l'Umberto fu lui a riconoscermi da lontano con occhio d'aquila e io non credevo ai miei occhi e alle mie orecchie. Poi ci abbracciamo brevemente e chiacchieriamo un po'. Ma il mio primo incontro con lui - con me che sono un romano che viene dalla terra degli infedeli - fu durante la campagna elettorale del 2001 nel Bresciano e avvertii subito e in modo diretto ed emotivo questa sua scheletricità emozionante nei movimenti, nella parola e nel gesto. Mi disse: «Dai, se fai una parola...» per invitarmi a parlare al suo comizio, cosa che mi sembrava allora impensabile. Devo dire che l'uomo visto a Roma da un romano come me, suscita una commozione probabilmente più intensa di quella che oggi i lombardi possono provare.
Almeno, così immagino visto che quel grande sogno rivoluzionario, un po' partigiano, un po' guascone, un sogno sia filosofico che politico, si è ormai perso anche nella memoria collettiva. Leggo che Bossi intende tornare al Senato con frequenza e lo ha fatto per sostenere apertamente il governo di Mario Draghi.
È stato dunque il suo un gesto politico quello ha svolto in maniera politica ma ciò che è accaduto è anche ciò che lui stesso, Umberto, desiderava che accadesse: dare rilevanza ad un evento che è la rilevanza di un sogno ancora vivo così come lui è ben vivo. E implicitamente una antitesi del sogno e della poeticità di quest'uomo nei confronti della nuova Lega che non è più nordica e che fa provare specialmente in Lombardia il rimpianto per un sostegno che una volta c'era e oggi si stenta a ritrovare.
Questo ritorno ha un valore politico di cui vedremo l'importanza nel prossimo futuro, ma di cui possiamo già cogliere il valore esistenziale, romantico, ideologico, visto che quell'antico ragazzaccio è tornato dopo aver essersi battuto come un leone contro la malattia e non soltanto contro gli avversari politici. È stata dunque una giornata di ritorno e riconferma, se non vogliamo dire di rinascita. Di sicuro il ritorno della persona, non un omaggio alla memoria.
Bossi voleva far vedere, e ci è riuscito, di essere forte come un tempo, ma e inoltre un uomo capace di poesia, meno coinvolto nella rissa della politica politicante, ma proprio per questo un vero rappresentante: il rappresentante di un popolo, quello del Nord e della Lombardia e dell'idea federalista che ha avuto il suo momento d'oro, e che forse non meritava di svanire dissolvendosi nella perdita dell'identità. Non si è dissolto nulla. Ecco infatti che dalle nebbie riemerge l'antico e nuovo Umberto e ci viene incontro con alcuni fogli e le sue poesie.
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