È sparita la mezza età ma sono ricomparse le mezze stagioni. Di qua eserciti di donne di leva indefinibile che procedono smaglianti per il mondo e a marcia indietro negli anni fino allo stallo perfetto, con certe pelli lisce che paiono delfini. Di là, il termometro che oscilla tra i dodici e i diciassette o i quattordici e i diciannove gradi centigradi e le icone del meteo che raccontano sempre lo stesso giorno da giorni: gocce e mezzi soli che spuntano dalle nuvolette pallide. Certe volte è ricomparso persino il vento: tonico, inatteso, gagliardo. Quasi ignaro del fatto che ormai la Terra si è tinta di quel blu-violaceo-mal-di-stomaco come il tizio in pullman che reclamizzava un prodotto antinausea.
Se è vero che l'economia non sta aiutando il Pianeta almeno quanto dovrebbe, è altrettanto vero che la Natura, nella sua immensa, cieca, imperterrita generosità, sta dando una mano all'economia. Tocca reinvestire in ombrellini, cappellini, «foularini», rifocillare gli armadi (ormai sprovvisti da anni), dei mezzi pesi per le stagioni di mezzo. Tutta una gamma di «tessutini» scomparsi dai radar che prima intasavano le grucce piantate in mezzo al piumino e alla giacca militare di cotone. Pesi rimasti inesplorati nei nostri guardaroba, nei negozi e pian piano usciti persino di produzione. Già l'anno scorso il meteo ci aveva colti impreparati in un novembre che aveva condensato tre stagioni in trenta giorni: nostalgia dell'estate per la prima quindicina, un paio di striminziti giorni d'autunno e poi un'accelerata in pieno febbraio. Tanto che ci era tornato in mente quel proverbio yiddish: «Quando l'uomo fa progetti, novembre ride». Quest'anno la mezza stagione fa capolino sul calendario a cavallo tra aprile e maggio: in casa e negli uffici si gela, per strada ci si imperla. Con la giacca «è troppo», senza «è troppo poco», impossibile azzeccare la miscela, non si sa come coprirsi e tantomeno quando scoprirsi. Per tacere delle scarpe, che meriterebbero un capitolo a parte e anche una certa arte divinatoria per districarsi tra le piogge del mattino e il sole a palla del pomeriggio tra polacchini impermeabili e sneakers bianche come il latte. Non bastano gli strati, ci vorrebbe un trolley: lana sul divano, cotone per strada. Che nemmeno eravamo più abituati a starci per strada, dopo anni di lock down e dozzine di scatole di vitamina D a cercare di pareggiare i conti con la luce che non ci ha più sfiorato la pelle per tempo immemorabile. Che nemmeno ce lo abbiamo poi questo tempo per pensare a certe scempiaggini tipo «come mi vesto oggi?» con il caro affitti nelle grandi città, Zelensky rifiutato all'Eurovision, la guerra, il Papa che libera l'agenda per avere il tempo di trattare la pace, Erdogan tallonato ai seggi da una specie di Gandhi turco, Trump che trumpeggia, le elezioni comunali alle porte, i soldi del Pnrr da spendere in fretta. Come si fa a pensare con quanti strati di stoffa uscire di casa ogni mattina, senza nemmeno un'armocromista a metterci al riparo dalle insidie degli abbinamenti che mortificano l'incarnato e ci «sbattono» come un polipo da ammorbidire contro uno scoglio? L'economia ringrazia pure, ma noi diciamo la verità: a confonderci, mancava solo il ritorno delle mezze stagioni. E niente, non si trova più un punto fermo.
Forse il clima lo fa apposta a tenerci sul chi va là: occhio che stamattina è inverno ma oggi pomeriggio potrei decidere di virare verso l'estate. La gente va messa in difficoltà, è solo così che dà il meglio. Come se tutto il resto non ce lo avesse già fatto capire...
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