Rivolta contro il governo delle Corti d'Appello. MI scarica le toghe rosse

I 26 presidenti contestano il dl sugli sbarchi. I moderati a MD: "Il premier non è un nemico"

Rivolta contro il governo delle Corti d'Appello. MI scarica le toghe rosse
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Ventisei magistrati di alto lignaggio, i presidenti di tutte le ventisei Corti d'appello sparse per l'Italia, che scendono in campo chiedendo al governo di rimangiarsi un suo provvedimento. Fatto senza precedenti. A rendere tutto più scottante, l'argomento della lettera: il decreto sul respingimento dei profughi varato all'inizio di ottobre dal governo, tassello cruciale della politica sull'immigrazione del governo di centrodestra. Il pronunciamento dei ventisei porta la data del 14 ottobre, appena tre giorni prima che le sentenze salva-profughi del tribunale di Roma innescassero uno scontro frontale tra governo e magistratura dagli esiti imprevedibili.

La lettera è stata inviata a Giorgia Meloni e ai suoi ministri della Giustizia e dell'Economia, Carlo Nordio e Giancarlo Giorgetti, e trasmessa per competenza al Consiglio superiore della magistratura. A venire contestata è una norma solo apparentemente «tecnica» del decreto, quella che rende impugnabili anche davanti alle Corti d'appello i provvedimenti dei tribunali sulle richieste di protezione internazionale. Sono i provvedimenti che il governo Meloni da tempo accusa i giudici di rilasciare con eccessiva generosità, come nel caso esploso a Roma: nel 2023, quasi il 40 per cento delle domande è stato accolto con una delle varie forme possibili.

Nella loro lettera alla Meloni, i ventisei presidenti affermano che l'entrata in vigore della norma rischia di mandare in tilt le Corti d'appello, allargando a dismisura i tempi di attesa di tutte le altre materie e mettendo a rischio persino obiettivi e finanziamenti del Pnrr: la modifica «renderebbe assolutamente ingestibili i settori civili di tutte le Corti d'appello». Ma non c'è solo un problema di efficienza. Nella lettera si afferma testualmente che «il ripristino del reclamo al giudice di secondo grado sconvolge un assetto ormai consolidato che ha assicurato una adeguata tutela dei diritti e, al tempo stesso la sostenibilità dell'intervento giudiziario».

Il governo non la pensa affatto così. E pare che quando i portavoce dei ventisei presidenti hanno avuto contatti con i loro colleghi in servizio al ministero della Giustizia per tentare una trattativa, si sono sentiti rispondere «non possiamo farci niente, è una scelta politica». Tradotto: il governo è convinto che le sezioni dei tribunali che si occupano di immigrazione siano in larga parte (un po' come le Preture del lavoro negli anni Settanta) feudi della sinistra, e che per avere sentenze meno buoniste si debba dare voce alle Corti d'appello dove (a torto o a ragione) Nordio pensa di incontrare orientamenti meno accoglienti verso i profughi.

Il sollevamento dei presidenti è compatto, toghe di destra, centro e sinistra chiedono di bloccare la norma. È una unanimità che da ieri si è incrinata su un altro versante delicato del «caso immigrazione», la mail del magistrato Marco Patarnello che definiva la Meloni «più pericolosa di Berlusconi» invitando i colleghi a essere «compatti per porre rimedio». Patarnello è finito nella bufera, dai suo colleghi si è alzato un coro di voci in sua difesa: ma ieri Magistratura Indipendente, la corrente conservatrice delle toghe, dirama un comunicato che prende le distanze dal collega. «Il Presidente del Consiglio dei Ministri, di qualsiasi partito politico, non è mai un avversario da fermare o da combattere, ma un interlocutore istituzionale da rispettare. Sempre. Deflettere da questo principio significa indebolire la funzione giudiziaria compromettendone il ruolo e la funzione costituzionale».

Parole fin troppo chiare, che arrivano dopo giorni in cui Giorgia Meloni - che aveva manifestato sui social la

sua indignazione per lo scritto di Patarnello - è stata accusata di avere isolato e tolte dal contesto solo alcune frasi. Ma, a quanto pare, la premier non è stata l'unica a trovare fuori luogo l'appello della «toga rossa».

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