Il 2017 è dietro la porta e già sappiamo che cos'ha nella gerla: la pesantissima attrezzatura teatrale per il centenario della Rivoluzione russa, anzi bolscevica, anzi del colpo di Stato bolscevico contro la già restaurata democrazia.
Curzio Malaparte in «Tecnica del colpo di Stato» racconta come fu che Lenin vinse: Lenin vinse perché il solo Leon Bronstein detto Trotskij chiese e ottenne fra i marinai dei corpi speciali «mille tagliagole». Con quelli entrò nel Palazzo, tagliò mille gole e aprì i portoni a Lenin che inutilmente «agitava le masse» vociando per strada senza concludere nulla. Naturalmente non si liquida così un epocale evento, ma cominciamo col dire che non fu una rivoluzione.
Oggi possiamo intanto constatare che a un secolo di distanza di quella enfatica e mostruosa epica non rimane più nulla. Nulla di buono, almeno. Forse il ricordo di quaranta milioni di deportati ed uccisi, prima e dopo la guerra. Un secolo fa l'Occidente borghese e sinistrese era prono ai piedi di Lenin e delle sue stragi. Soltanto il filosofo inglese Bertrand Russell, accorso a Mosca entusiasta per conoscere Lenin, rimase nauseato dalla descrizione degli eccidi inutili e perversi e volle tornarsene a casa: socialista sì, comunista mai.
Di lì una spaccatura perpetua fra socialisti e comunisti, con momenti di sopraffazione i cui echi ancora durano. Già prima dell'arrivo di Stalin, la rivoluzione aveva spento per sempre (il sempre storico) la pratica delle arti e di ogni libertà. Il resto, a seguire.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.