L'ipotesi di "Mr. Tasse" per il campo largo

Ernesto Ruffini in pista come "frontman" Pd

Ruffini in una cerimonia alla Camera dei Deputati
Ruffini in una cerimonia alla Camera dei Deputati
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L'altro ieri nel Transatlantico di Montecitorio Pier Ferdinando Casini lo dava per sicuro: «Vedrete nel giro di 24 ore Ernesto Ruffini (foto) smentirà il suo ingresso in politica». Dopo 48 ore nulla è accaduto. Il progetto è ancora in campo. Il direttore dell'agenzia delle entrate, l'esattore del governo Meloni, è rimasto in silenzio, per ora non ha escluso il suo avvento nell'agone politico come leader del nascituro «centro» del campo largo o addirittura «frontman» del centro-sinistra. A onor del vero Ruffini aveva già smentito più di due settimane fa l'ipotesi, ma da allora le voci si sono moltiplicate e lui, con la partecipazione in un convegno degli ex-popolari, le ha avvalorate. Anzi, ha creato un'atmosfera di attesa con frasi sibilline pronunciate in privato in cui poneva delle condizioni ai suoi interlocutori: «Voglio vedere il gruppo. Non basto solo io. Non ho qualità taumaturgiche». Né tantomeno escludeva l'ipotesi di sue dimissioni dall'Agenzia a fine mese messa in giro dall'ex-dc Lorenzo Cesa. Anzi, si schermiva con una battuta densa di significato: «I politici conoscono il futuro».

Ora Ruffini legittimamente può aspirare a tutto quello che vuole, l'idea però che rimanga direttore dell'agenzia delle entrate di quel governo che da «politico» vorrebbe sostituire è a dir poco stravagante: è come se lo sceriffo di Nottingham, l'esattore di Re Giovanni, si candidasse a diventare il capo della banda di Robin Hood che sta dalla parte di re Riccardo. Un'immagine inverosimile pure nelle favole. Ma si sa, il Belpaese è il paese delle fiabe, è abituato alle stranezze di un «deep state» istituzionale che fa quello che vuole e se la racconta come vuole.

Ora che l'esattore si butti in politica con lo schieramento avverso è, appunto, un'immagine che stona. Sono pochi però a dirlo per rispetto verso il grande protettore dell'operazione che alberga al Quirinale. «O smentisce - ripete quel guastafeste di Maurizio Gasparri - o si deve dimettere. Come può far politica il direttore dell'agenzia delle entrate? Uno che ha il potere di richiedere un accertamento fiscale nei confronti di un avversario». «Se vuole entrare in politica - gli va dietro Gianfranco Rotondi - deve lasciare l'agenzia entro tre mesi». Anche sull'altro versante l'atteggiamento di Ruffini fa storcere il naso a più di qualcuno. «Non può essere il manager della Meloni - osserva Matteo Renzi - e insieme uno dei leader dell'alternativa. Non puoi fare l'arlecchino servitore di due padroni». E anche i suoi sponsor, ex-dc come Bruno Tabacci o Giuseppe Gargani, gli consigliano di togliersi di dosso al più presto l'immagine di uomo delle tasse.

Lui di questo si preoccupa poco, in fondo è stato lo zar del fisco ma pure delle «rottamazioni». Semmai è cauto perché ha la sensazione che non tutti nel centro-sinistra lo considerino il nuovo Messia. Anzi. Da quando è finito sui giornali sono fioccati altri nomi, dal sindaco di Milano Sala all'ex-capo della polizia Gabrielli. Insomma, Non è stato accolto con il tappeto rosso. Tanti, però, sono convinti che un nuovo soggetto di «centro» sia necessario per colmare un vuoto nel campo largo. La prima è Elly Schlein. Sulle modalità per favorirne la nascita - parto cesareo o attesa per quello naturale - i pareri invece sono diversi. «Tirare fuori un nome al giorno - spiega Dario Franceschini - è un massacro. Hanno già ribattezzato Ruffini l'uomo delle tasse. Il disegno però di una forza laica, cattolica, moderata che prenda i voti che non raggiunge la Schlein è giusto. Ma c'è tempo, nessuno punta alle elezioni anticipate, neppure la Meloni, che prenderebbe meno seggi di quelli che ha oggi».

Ragionamento che Graziano Delrio condivide. «Non una ripetizione della Margherita - osserva però - perché i cattolici sono anche nel Pd, ma una forza che porti nella nostra coalizione una ventata di liberalismo. Dobbiamo raggiungere chi non vota più: qui anche quando vinciamo prendiamo meno voti di prima.

Ecco perché ci vuole un'operazione che nasca dalla base e non di nomenklature. Di quelle ce ne sono fin troppe al centro. Intanto abbiamo tempo. Anche se la Meloni puntasse alle elezioni anticipate il Colle direbbe no. Motivo per cui perché Ruffini dovrebbe dimettersi?».

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