È alto e porta gli occhiali, Don Maurizio Patriciello, ma le similitudini con Pippo Baudo finiscono qui, con buona pace del presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca e della sua «battuta». Don Maurizio non è un presentatore, è un prete anti-clan. E che gli sia bastato dialogare con il governo Meloni perché il governatore campano provi a farlo diventare uno zimbello, non fa onore a De Luca e non cambia la realtà delle cose. Che racconta di un uomo che vive da due anni sotto scorta, da quando i clan, nella notte tra il 12 e il 13 marzo del 2022, fecero esplodere una bomba davanti alla sua chiesa nel quartiere Parco Verde di Caivano, un presidio di legalità e di speranza, per anni l'unico in quel territorio degradato che rivendicava il poco invidiabile record di principale piazza di spaccio del Paese, con un giro da 100 milioni di euro l'anno - e dove lo Stato è stato troppo a lungo assente. Don Maurizio, dopo aver portato all'attenzione nazionale l'emergenza ambientale e criminale della «terra dei fuochi», una dozzina d'anni fa, era finito nel mirino dei clan. E il suo tentativo di combattere nell'interesse del suo popolo inquinato, la sua tigna nel reclamare per la sua Caivano una presenza dello Stato, «padre e non padrino», per dirla con le sue parole, non ha migliorato i rapporti con i camorristi.
Nonostante minacce e intimidazioni, don Maurizio ha portato avanti la sua battaglia vestendo i panni del prete anticamorra, incontrando in dodici anni ministri, premier, politici locali e nazionali. Poi, a luglio di un anno fa, dopo l'ultima vetta toccata dal degrado del quartiere, con lo stupro di due cuginette dodicenni da parte di un gruppo di adolescenti, don Patriciello scrive anche a Giorgia Meloni, la invita al Parco Verde, le chiede di fare qualcosa. E non solo arriva la premier, accompagnata da mezzo governo, non solo ammette con don Maurizio che «qui lo Stato ha fallito», non solo promette che non dovranno più esserci zone franche e annuncia la bonifica del quartiere. Ma fa seguire i fatti: blitz, arresti, il «decreto Caivano», la nomina di un commissario straordinario per riqualificare l'area e costruire infrastrutture. Qualcosa si muove, don Maurizio gradisce, e secondo qualcuno, a sinistra, gradisce un po' troppo. Lui si difende, spiega di aver scritto anche a Letta, a Renzi, a Conte. E aggiunge che «se Meloni fa, devo dirlo che fa. Se poi non farà, dirò che non farà». Insomma, nega di essere partigiano meloniano, spiega che se gradisce è perché a Parco Verde arrivano quelle risposte che lui aveva chiesto, invano, per decenni. Don Patriciello, da lì, non si è mai mosso. Classe 1955, nato a due passi, a Frattaminore, faceva l'infermiere, guardando la gente morire per i veleni nascosti nella Terra dei Fuochi. Nel 1983, 28enne, mentre va in ospedale accosta per dare un passaggio a un frate francescano. Pochi minuti di chiacchiera e nasce la vocazione, tardiva ma potente.
Il paramedico Patriciello si iscrive a teologia, poi nel 1984 lascia l'ospedale ed entra in seminario. Quando ne esce, il vescovo lo spedisce a Caivano, parrocchia di San Paolo Apostolo, raccomandandosi di avvisarlo se fosse stato troppo duro per lui. Trentacinque anni dopo, don Maurizio è ancora qui.
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