C'è sempre, nella vita di un bambino, la favola raccontata dai genitori e la fantasia corre, come nei libri di Salgari, verso terre lontane e di belve feroci e immensi alberi e mari trasparenti con la luce azzurra del cielo. Così fu anche per Franco Rosso che a novantaquattro anni ha finito il suo ultimo safari dopo aver regalato vacanze di sogno ai turisti italiani.
Suo padre aveva lavorato in un cantiere nell'Africa più profonda, allora si poteva dire, scrivere e anche cantare «il continente nero». Quando narrava di quel mondo al figlio, Franco, il circo di tigri e leoni era completo, il ragazzo intuì che sarebbe stato il suo futuro ma non più nelle fotografie in bianco e nero e nei ricordi serali. Aprì un ufficio di biglietteria alla stazione dei filobus di corso Francia a Torino e nel 58 ottenne il diritto al titolo per organizzare viaggi all'estero, sfruttando il patrimonio di viaggiatori sui mezzi filotranviari.
Alla Berlitz School gli bastarono quattro mesi per imparare l'inglese necessario al lavoro, il francese studiato a scuola era una garanzia, lo spagnolo facile da accomodare fu la terza lingua. Agente di viaggio a ventotto anni, ufficio in corso Giulio Cesare, la strada di accesso alla Torino grigia del dopoguerra, prima della grande immigrazione dal meridione del Paese. Era il tempo della rinascita, la vacanza era intesa come una meta fantastica, l'insegna era pronta Ufficio Turistico Franco Rosso, una specie di filiale di altre agenzie di viaggio. Fu così che incominciò un'avventura poi colossale, nelle dimensioni internazionali e nel fatturato. Coinvolse Giancarlo, fratello più giovane di undici anni, che completò la formazione a Londra. Il signor Rosso capì che mettendo insieme nome e cognome avrebbe creato un marchio esclusivo anche perché l'Italia dimostrava di volersi rialzare e il boom dei favolosi anni Sessanta ne fu la conferma.
Nel 1967, per la prima volta, Rosso sbarcò in quel continente raccontato dal padre. Con la moglie Amalia si regalò un mese di vacanza tra Uganda, Kenya e Tanzania. E poi scelse il mare, l'oceano indiano dove si avvistavano i turisti provenienti dall'Europa. Il Kenya diventò la miniera luccicante di pepite, la prima agenzia di turismo e safari a Nairobi, si chiamava Intertour aveva sede in Mama Ngina Street. Ma come portare in quel sito così lontano i clienti italiani? Charter, dunque, diretti da Milano e Roma su Nairobi. C'era tutto ciò che un turista potesse desiderare, la temperatura calda dell'acqua marina, le spiagge e una sola ora di differenza di fuso orario. Il massimo per chi voleva travestirsi da Tarzan, non soltanto per andare a caccia grossa ma per vivere una vacanza unica, da film. Franco Rosso completò il sogno, alberghi resort, villaggi, la gente del posto si era dimostrata cortese, accogliente e poi c'era un amico torinese (di nascita mantovana) che da quelle parti aveva messo su il Leopard Beach a Diani. Chi era mai costui? Orfeo Lucio Pianelli, presidente del Torino. Venne poi il Tropical Village e il Dream of Africa, mentre il Coconut fu l'unico fallimento della sua impresa. La Francorosso diventò un colosso dei tour operator, punto di riferimento per un turismo medio alto. Il fatturato arrivò a 285 miliardi e a fine degli anni Novanta si decise la messa in vendita per un prezzo di 35 miliardi, gestito da Mediobanca, la finanza importante aveva preso ad interessarsi del turismo come azienda.
Il resto è Alpitour ma Franco Rosso, nuovamente staccato il nome dal cognome, aveva ormai tracciato il segno, la storia era stata scritta, il Kenya la sua seconda terra, per sei mesi all'anno, per poi concludere l'esistenza a Lugano, dove aveva intrapreso la Planhotel Hospitality Group SA che gestisce alberghi a Zanzibar, Kenya, Mozambico e sulla costa dell'Oceano Indiano. Aveva immaginato un prossimo viaggio in Patagonia. Resta il sogno di Sara, Paolo e Alessandro. I figli del signor Rosso.
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