«Ho fatto e faccio fatica ad andare d'accordo con Matteo Renzi, ma ho deciso di non essere tra quelli che si siedono sulla riva del fiume ad aspettarne il cadavere» garantiva a dieci giorni dall'election day il sindaco di Milano Beppe Sala. Nella capitale economica d'Italia - nonostante Renzi - la sinistra in cachemire ha salvato ancora il Pd, come era accaduto il 4 dicembre del 2016 con la vittoria del sì al Referendum per la riforma costituzionale, in controtendenza con quel risultato nazionale che fu il primo avviso di sfratto all'ex premier. Nei collegi uninominali per la Camera il Partito democratico è risultato il primo partito a Milano con il 27%, seguito dal Movimento 5 Stelle, che cresce ma continua a non sfondare (incassa il 17,7%, circa quindici punti sotto la media nazionale). La coalizione di centrodestra è in vantaggio (con Lega al 16,7%, Forza Italia al 15,5 e Fdi al 4,4), Leu si ferma al 4,3% (la presidente della Camera Laura Boldrini, capolista nel centro storico, arriva addirittura quarta) e +Europa con Emma Bonino supera l'8 per cento. «Penso che il risultato delle Politiche su Milano sarà una sorta di tagliando anche alla mia giunta, sono speranzoso, vediamo cosa succede» azzardava a urne ancora aperte il sindaco. E ieri, con la città sopravvissuta al terremoto dem, marcava la «chiara controtendenza» rispetto alla «dura sconfitta per la sinistra. Qui il Pd è saldamente primo partito, e se sommiamo le preferenze di Pd e Leu non si va tanto distanti dai voti che presi io al primo turno delle Comunali 2016». Due pezzi di sinistra che potrebbero riconciliarsi anche nel Paese con Renzi fuori dalla scena, è il sottinteso. E se non ha atteso dichiaratamente il cadavere dell'ex segretario, oggi Sala è tra quelli che insieme al governatore del Lazio Nicola Zingaretti possono farsi largo sulla scena nazionale, per costruire ponti tra il Pd e i vari satelliti a sinistra.
Il caso Milano. Intanto si spiega con un'affluenza questa volta molto alta nel centro storico, che protesta per i bivacchi intorno al Duomo ma non vive gli stessi problemi di sicurezza che in altre città - e in alcune zone della periferie, non a caso schierate con il centrodestra - hanno permesso alla Lega e ai 5 Stella di sfondare. Milano a prescindere da chi la governa si confronta più con Parigi o Londra che con Roma o Napoli. E il sindaco Sala avrà pure indossato la maglietta del «Che» durante la campagna del 2016, ma non ha il curriculum del rifondarolo, piace più ai salotti che ai centri sociali. Brianzolo, laureato in Bocconi, vent'anni da dirigente Pirelli (molto vicino a Marco Tronchetti Provera), cinque anni da dirigente in Telecom, poi - come ha raccontato di recente nel libro-manifesto Milano e il secolo delle città, la telefonata che gli fece cambiare rotta: quella ricevuta dall'allora sindaco di centrodestra Letizia Moratti che gli proponeva il posto di direttore generale del Comune, ricevuta mentre si trovava nel pieno di una regata nell'Atlantico. Da lì la nomina a commissario unico di Expo, le primarie per diventare il sindaco del Pd, passate a giustificarsi per il passato («sono di sinistra, non fatemi più esami del sangue»), l'elezione. E due anni di liti continue con Renzi.
«Dopo il referendum gli consigliai di saltare un giro», «ha fatto meglio il governo Gentiloni», «si è costruito liste elettorali di fedelissimi» le ultime stoccate di Sala in piena campagna. E forse a Milano il Pd ha tenuto anche per questo.
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