L'altra volta, dice, lo avevano fregato: in vista del suo arrivo annunciato, il centro di accoglienza di Lampedusa era stato ripulito e reso presentabile, anzi impeccabile, «pulito, profumato, ordinato, non c'era una virgola fuori posto». Così ieri Matteo Salvini decide di tornare a visitare l'hotspot siciliano senza preavviso, e quello che si trova davanti è «indegno di un paese civile». E dal degrado di Lampedusa il leader leghista rilancia la campagna contro l'immigrazione clandestina. «Rifaremo i decreti sicurezza», le misure fortemente volute dalla Lega, varate dal governo Conte 1 e abrogate dal governo Conte 2. Ieri Salvini non lo dice esplicitamente, ma il corollario dell'annuncio sembra chiaro: la Lega vuole per sé e per il suo leader il posto di ministro dell'Interno, lo stesso che Salvini ricoprì nel governo «gialloverde», tolda di comando per le politiche sull'immigrazione.
È in quella veste che Salvini incassò le incriminazioni per le navi fermate al largo o nei porti, quattro indagini una dopo l'altra con l'accusa di sequestro di persona. Processi che l'ex ministro si è appuntato sul petto come medaglie. Tre sono già finiti in niente (archiviati dalla magistratura i casi Gregoretti e Sea Watch, stoppato dal Parlamento il fascicolo sulla nave Diciotti), l'unico ancora aperto è per il blocco della nave della Ong spagnola Open Arms: prossima udienza a Palermo il 16 settembre, nove giorni prima del voto per le Camere. «Ci sarò», fa sapere ieri Salvini. Altra ribalta giudiziaria per il rilancio della più identitaria tra le battaglie leghiste.
Tutto da vedere, però, se avvisi di garanzia e imputazioni saranno il miglior viatico per il ritorno al Viminale dell'ex ministro. All'interno del centrodestra l'assegnazione alla Lega, e in particolare a Salvini, del dicastero degli Interni non viene data per automatica né per acquisita, e la pendenza del procedimento penale a Palermo potrebbe venire usata per mettere in dubbio l'opportunità di nominare ministro un imputato di sequestro di persona.
Il processo Open Arms d'altronde è distante dalla conclusione, e le sue udienze rischierebbero di costringere ancora per un bel po' Salvini al doppio ruolo di ministro e imputato. Ma è una prospettiva che non sembra preoccupare il diretto interessato. Il focus di Salvini è tutto sulle conseguenze inaccettabili che il boom degli sbarchi sta riversando sul sistema di accoglienza. Così uscendo dal centro di Lampedusa denuncia come «chi ha diritto di essere accolto viene sbattuto per terra, bimbi di due anni a quaranta a gradi sull'asfalto» mentre «chi non ha diritto viene qua e sbarca per la quarta, quinta volta. È un business».
Anche uno dei medici interni, nei giorni scorsi, aveva parlato di «condizioni sanitarie inenarrabili». D'altronde, dice Salvini, «qui dovrebbero esserci 350 persone ce ne sono ammassate più di 1300». E afferma: «l'immigrazione è un fenomeno che può essere controllato, gli altri lo hanno promesso per vent'anni io l'ho dimostrato. Contrastare il traffico di essere umani è possibile, basta reintrodurre i decreti sicurezza. Quella che vedete alle mie spalle non è accoglienza, non è solidarietà, è un deposito. Reintrodurre i decreti sicurezza significa tornare a difendere Lampedusa, Pantelleria, i confini italiani e i confini europei. Sarà mia premura (significativo l'uso della prima persona singolare, ndr) perché lo abbiamo già fatto».
Nel pomeriggio, da Arona, mille miglia più a nord, rincara la dose: «Non possiamo mantenere un esercito di clandestini che non fanno niente dalla mattina alla sera, prima vengono gli italiani, i lavoratori che sono in difficoltà».
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