Il crescendo continuo di tensioni e il gioco del cerino. Lo scontro campale sul sottosegretario Armando Siri, il conflitto sulle autonomie, il duello sul Salva-Roma e soprattutto la manovra economica rendono il suo cammino del governo sempre più costellato di difficoltà. Nessuno, però, vuole pronunciare la parola crisi, nessuno vuole essere il primo a spegnere la luce, nessuno vuole prendersi la responsabilità di staccare la spina.
È chiaro, però, che se davvero non si troverà il modo di arrivare a una pacificazione - Matteo Salvini ieri si è tenuto distante dalla politica e ha trascorso qualche ora in Trentino, i Cinquestelle hanno rilanciato l'eterna battaglia sul conflitto di interessi - e avviare una «fase due del governo» bisognerà immaginare una exit strategy verso il voto. E la data delle elezioni diventa un altro rebus difficile da risolvere.
Sergio Mattarella vorrebbe che fosse il governo in carica a fare la Finanziaria, magari in una versione «light», anche perché non esistono maggioranze alternative che possano formarsi senza la Lega o i Cinquestelle al proprio interno e si possano prestare a scrivere una manovra certo non foriera di applausi e consensi. Dentro la Lega da tempo si ipotizza ottobre come il mese in cui tornare alle urne. Ma in queste ore si vagliano tutte le varie ipotesi. E ad esempio i veneti del Carroccio non escludono neppure di votare a giugno. In questo caso due sarebbero le date possibili: il 23 o il 30.
La legge impone che la campagna elettorale duri non meno di 45 e non più di 70 giorni, quindi il presidente della Repubblica dovrebbe sciogliere le Camere il 14 maggio. Per votare a ottobre, invece, bisognerebbe sciogliere le Camere nei primi giorni di settembre. Con l'apertura di una finestra per il voto tra le ultime due domeniche di ottobre (20 o 27), in piena sessione di bilancio, eventualità sempre poco gradita dalle parti del Quirinale e molto pericolosa per i possibili contraccolpi che potrebbe avere sui mercati, visto che ci sono sempre le famose clausole di salvaguardia con cui fare i conti.
Quel che è certo è che i sondaggi rappresentano ormai una sorta di ghiotto invito alle urne per la Lega. Le percentuali del Carroccio arrivano ormai a sfiorare il 37%, numeri simili a quelli ottenuti nel 2008 dal Pdl. L'ultimo in ordine cronologico (quello di Ipsos per il Corriere della Sera) la accredita di un 36,9%, in crescita; mentre, per quanto riguarda gli altri grandi partiti, il M5s sarebbe secondo con il 22,3%. A seguire il Pd con il 18,7%, Forza Italia con l'8,7% e Fratelli d'Italia con il 4,6%.
Di fronte a questa escalation di tensioni tanto Giuseppe Conte quanto Luigi Di Maio non nascondono la polvere sotto il tappeto e inviano segnali chiari al leader della Lega. «Se il governo dovesse solo vivacchiare, dovremmo tutti trarne le necessarie conseguenze: io per primo». Quanto alla possibilità che possa nascere in questa legislatura un altro governo diverso dal suo il premier risponde seccamente: «Francamente no. Salvini ha una vita davanti a sé per fare il premier, se e quando si creeranno le condizioni.
Non in questa legislatura». Una linea sposata anche dal capo politico di M5s. «Non è pensabile che Salvini rivendichi la premiership dopo le Europee. Sarebbe una forzatura. Sono le elezioni politiche a stabilire la composizione del Parlamento».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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