Un romanzo italiano

Il guaio è che in Italia gli scrittori, convinti di aver qualche influenza sul dibattito interno, parlano in continuazione, parlano solo tra di loro e parlando si danno sempre ragione

Un romanzo italiano
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Ieri ci domandavamo perché gli scrittori non capiscono mai niente di politica, qui in Italia. E la risposta è arrivata dall'America. Notoriamente molto più avanti di noi.

È successo che, sfogliando i giornali, ci siamo imbattuti in una splendida intervista allo scrittore Richard Ford, anti-trumpiano ma con forti antipatie per Biden, il quale senza fanatismi dice che «gli scrittori americani non pensano che i loro libri abbiano una qualche influenza sul dibattito interno. Preferiamo affidare il compito di affrontare la politica agli specialisti». Che, a pensarci bene, in un tempo in cui anche i cretini sono specializzati, è il massimo dell'impegno politico.

Certo, loro hanno Richard Ford e noi Gianrico Carofiglio. Il primo ha cantato l'epica della classe media americana in romanzi da Pulitzer, il secondo parla con disprezzo a La7 della «provincia profonda americana», lui che è di Bari. Poi c'è Roberto Saviano, che su «X» paga 35 euro al mese di spunta blu a Elon Musk per dirgli che è un nazista. E infine la chat di intellettuali del Pd che ora cercherà di rovesciare Trump con WhatsApp.

Il guaio è che in Italia gli scrittori, convinti di aver qualche influenza sul dibattito interno, parlano in continuazione, parlano solo tra di loro e parlando si danno sempre ragione.

Ma in realtà di politica non capiscono niente. Parole e pensieri basati su cose che non sono mai accadute o che devono ancora accadere. Cioè esattamente, guarda caso, quello che dovrebbe fare un grande romanzo. Che loro non sanno scrivere.

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