Santoro, Augias e Dago. Quelli che irridevano le trattative di Giorgia

L'ex conduttore di Annozero: "Non la facciamo rientrare, questa è colpa grave del governo". Psicodramma su WhatsApp in "Bella chat"

Santoro, Augias e Dago. Quelli che irridevano le trattative di Giorgia
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Tronfi nello sciorinare nefaste profezie, assorti nelle loro elucubrazioni a tinte fosche, smentiti dai fatti. Benvenuti nel circolo bipolare dei gufi, quelli che gongolavano guardando le lancette dell'orologio spostarsi senza avere notizie del rilascio della giornalista Cecilia Sala. Sono gli uccelli del malaugurio, che fino a poche ore prima della liberazione della reporter avevano imbandito la tavola con alimenti indigesti per il governo e per la premier Meloni. Adesso resta soltanto il rospo della figuraccia da ingoiare, ché tornare indietro è un salto impossibile. E lo sanno anche loro. «Non la facciamo rientrare, questa è una colpa grave del governo», urlava Michele Santoro ospite a DiMartedì su La7 poche ore prima della soluzione della vicenda. E poi aggiungeva: «Con un allarme giusto noi avremmo potuto far rientrare Cecilia un attimo prima (...) adesso c'è il silenzio stampa, quindi non possiamo neanche parlare delle nefandezze che compiono». L'ex conduttore di Annozero tuonava poi contro il viaggio lampo a sorpresa della Meloni da Trump, tappa cruciale. Ecco la sua risibile teoria: «La premier sembrava un cagnolino alla corte del presidente americano. Sembrava una fan capitata al concerto degli U2, che si mette lì in un angolino. Non dà l'idea di una persona che voglia avere un ruolo di mediazione. Sono indignato».

Nello stesso salotto televisivo, Corrado Augias sosteneva che il viaggio del leader Fdi altro non è stato che «un'ammazzata». Motivo? «È andata lì cinque ore, due delle quali sono state occupate dalla visione di un documentario, immaginiamoci quanto allegro, che legittimava l'assalto al Campidoglio del 6 gennaio, una bella serata non direi, una serata utile? Credo di no, perché se fosse stata veramente utile si saprebbe e non c'è nessun comunicato che dica che la presidenza del Consiglio e l'imminente presidente degli Stati Uniti d'America hanno convenuto qualcosa». Insomma, nel meraviglioso mondo dello scrittore avrebbe dovuto essere tutto in chiaro, alla faccia del lavoro segreto della diplomazia. Lavoro che è stato denigrato spesso anche dal sito di gossip Dagospia, che ha criticato l'inefficienza dei servizi segreti italiani nonché l'immobilismo dell'esecutivo. E che dire poi dello psicodramma andato in scena su «Bella chat», il gruppo Whatsapp creato il 25 aprile scorso dall'ex direttore della Stampa, Massimo Giannini (che poi ha abbandonato), per riunire politici e intellettuali di sinistra e creare dibattito? Lì è andata in scena il valzer del dispiacere, tanto che l'europarlamentare Pd Brando Benifei si è trovato costretto a vergare: «Credo di non capire quanto si sta scrivendo: l'auspicio era che non venisse liberata o che ci volesse almeno un po' più di tempo perché non passasse come un successo della Meloni? Mi auguro che in una chat intitolata al giorno della Liberazione il sentimento non sia davvero questo».

La politologa Nadia Urbinati ha affermato, forse con una punta di amarezza: «Fine della partita». Per poi aggiungere una singolare previsione: «Musk deve aver fatto un regalino agli iraniani». Un altro commento recitava: «Ora potremo dire che Meloni ha fatto anche cose buone». Su La Repubblica, Francesco Merlo ha parlato di «vuoto (storico) della nostra politica estera» per poi asserire: «Presto vedremo i risultati del viaggio di Meloni. Stare in cartellone ma non in scena è sempre ad alto rischio».

Anche Rula Jebreal e Rosy Bindi hanno stigmatizzato l'interlocuzione con Trump in quanto presidente non ancora eletto e parlato di comportamento discutibile dell'esecutivo. Per fortuna a mettere fine alla fiera delle cantonate ci ha pensato il governo italiano.

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