Roma, 6 marzo 2021. Nicola Zingaretti si è dimesso da segretario del Partito democratico nemmeno 24 ore prima. È mezzogiorno, in via del Nazareno davanti alla sede nazionale del Pd si presentano alcune Sardine munite di sacco a pelo. Indossano una t-shirt rossa con la scritta “Continuerai a farti scegliere o finalmente sceglierai?”. Ci sono tra gli altri Mattia Santori, Jasmine Cristallo e Lorenzo Donnoli. Vengono ricevuti dalla presidente del Pd Valentina Cuppi, che resta a parlare con loro per circa 4 ore. Ovviamente c’è la “tonnara” di microfoni e telecamere adeguatamente pre- allertata, pronta a registrare ogni sillaba delle Sardine, che pretendono di dettare la linea al partito, vogliono spingere Nicola Zingaretti a proseguire anche da solo sulle istanze di Piazza Grande, cioè la piattaforma programmatica che portò il presidente di Regione Lazio a vincere le primarie per la segreteria il 3 marzo 2019. Quindi le Sardine vanno alla sede del Pd con sacco a pelo, si mettono in posa per le photo-opportunity del caso (uno scatto di Santori in tenda con un ritratto appeso alla parete di Enrico Berlinguer avrà creato, ne siamo certi, più di un mal di stomaco) ed è subito “Occupy Pd”. Cioè, letteralmente dall’inglese (che fa tanto internazionale) “occupare il partito democratico” in un impeto che si vorrebbe spontaneo, popolare, partecipato, ma che è di quanto più costruito a tavolino vi sia a sinistra.
Dalle manifestazioni di Zuccotti Park a New York nel settembre 2011 contro la finanza mondiale rappresentata dalla Borsa di Wall Street, ritenuta responsabile della crisi economica mondiale (“Occupy Wall Street”, appunto). Torniamo al 2013. Alle elezioni politiche del 24 e 25 febbraio il Pd di Pierluigi Bersani riesce a risultare “miglior perdente” dalle urne. Parte a gennaio con sondaggi che accreditano alla sinistra un 40% di voti; ma le schede scrutinate raccontano deludenti 29,5% alla Camera e 31,6% al Senato. Praticamente la coalizione “Italia. Bene comune” è quasi appaiata al centrodestra e molto al di sotto del Movimento 5 Stelle che porta a Roma 153 parlamentari. Rispetto alle elezioni del 2008 il Pd ha perso 3 milioni e 335mila voti. È necessario accordarsi con le altre coalizioni per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. Il 20 aprile 2013 Giorgio Napolitano, caso unico finora nella storia repubblicana, si fa rieleggere Capo dello Stato e picchia duro sul Parlamento in seduta comune che lo ha appena eletto con queste parole: “Quanto è accaduto qui nei giorni scorsi ha rappresentato il punto di arrivo di una lunga serie di omissioni e di guasti, di chiusure e di irresponsabilità… hanno finito per prevalere contrapposizioni, lentezze, esitazioni circa le scelte da compiere, calcoli di convenienza, tatticismi e strumentalismi. Ecco che cosa ha condannato alla sterilità o ad esiti minimalistici i confronti tra le forze politiche e i dibattiti in Parlamento”. La sinistra è nel pallone e, proprio in quei giorni difficili, deve assistere all’occupazione di alcune sedi del Pd da parte di militanti che chiedono ai dirigenti una reazione: Torino, Varese, Bari e Cagliari tra le altre. In quei giorni di aprile 2013 gli occupanti elaborano le loro richieste, anzi le loro pretese: resettare il gruppo dirigente, svolgere un congresso il più aperto possibile, discutere il sostegno al governo Letta. Sì, perché nel frattempo un esecutivo presieduto dal Pd Enrico Letta ha giurato il 28 aprile 2013, con la benedizione di Silvio Berlusconi e con Angelino Alfano come vicepresidente e ministro dell’Interno. Il 10 maggio 2013 alla Fiera di Roma è la prima volta in cui gli occupanti si prendono una platea nazionale.
Il giorno prima dell’assemblea del Pd, infatti, questi giovani militanti si danno appuntamento indossando la stessa t-shirt con la scritta: “PD= Più Di 101”. Riferimento chiaro al mito fondativo di questo movimento interno al partitone della sinistra. Il 19 aprile 2013, il giorno dei 101 supposti accoltellatori e traditori del Capranica. Un teatro nei pressi di Montecitorio dove al mattino si erano riuniti i 493 grandi elettori del centrosinistra (il Pd ne ha 423) decisivi per il nuovo Presidente della Repubblica. Il segretario Bersani è stato sconfitto alle elezioni del 24 e del 25 febbraio, è stato congelato il 29 marzo da Napolitano con un incarico da Presidente del Consiglio già pieno di paletti e condizioni, è stato umiliato il 27 marzo da Beppe Grillo nel primo confronto in diretta su internet, è stato bruciato il 18 aprile sulla candidatura di Franco Marini, il suo candidato per il Quirinale. Sarebbe logico cercare un nome condiviso o con il centrodestra o con i 5 Stelle (che propongono tra l’altro un nome di sinistra, quello di Stefano Rodotà), del resto questa è la linea stabilita dal gruppo dirigente. A un tratto Bersani decide di proporre un solo nome per la più alta carica dello Stato: quello di Romano Prodi. Coloro che sono seduti nelle prime file si alzano in piedi, parte un applauso. Così la candidatura di Romano Prodi passa per acclamazione, senza una votazione come pure era stato previsto con quasi 500 schede bianche già pronte per essere utilizzate. Quindi gli applausi operano una vera e propria inversione a U, una torsione di 360 gradi della posizione ufficiale del Pd, cioè la condivisione sul Quirinale emersa tra l’altro da un incontro tra Bersani e Berlusconi il 9 aprile. Nella supposizione incontestabile, quasi un dogma, che Romano Prodi sia il nome popolare, del ritorno alle origini dell’Ulivo, dei tortellini alla Festa dell’Unità, della doppia vittoria su Berlusconi alle elezioni. Quindi certamente il candidato meno adatto a una soluzione condivisa con il centrodestra. Quello stesso 19 aprile 2013, in tardo pomeriggio, il quarto scrutinio per l’elezione del Capo dello Stato ferma Romano Prodi a 395 voti, ben lontano dai 496 necessari al traguardo finale. Secondo una certa vulgata, sarebbero questi elettori mancanti i 101 traditori che avrebbero acclamato Prodi al teatro Capranica e lo avrebbero accoltellato in Parlamento. In realtà questi 101 bocciarono una forzatura anti-politica che aveva completamente stravolto la linea ufficiale del Pd. In ogni caso da quella narrazione mitica e mistificante del tradimento dell’anima popolare e buona della sinistra nacque il movimento degli occupanti. I quali non a caso hanno il loro laboratorio politico in Emilia-Romagna, cioè nella terra di Prodi.
Tra quei militanti c’era Elly Schlein, attuale vicepresidente della Regione Emilia- Romagna. Eletta il 26 gennaio 2020 alle regionali che incoronarono le Sardine come soggetto politico per bocca del segretario del Pd Nicola Zingaretti che le ringraziò pubblicamente e le indicò come determinanti per la vittoria di Stefano Bonaccini e la sconfitta della Lega di Matteo Salvini. Anche Mattia Santori è bolognese, come bolognesi d’adozione sono Andrea Garreffa, Giulia Trappoloni, Roberto Morotti, Lorenzo Donnoli cioè il nucleo fondativo delle Sardine. E la presidente del Pd Valentina Cuppi, che ha spalancato loro le porte della sede l’altro giorno, è la sindaca di Marzabotto (Bologna). La piazza che si autoconvoca (con un circuito mediatico sin dall’inizio insolitamente molto attento) e pretende di dettare la linea a un partito forzando la mano agli organismi dirigenti democraticamente eletti. Il cavallo di Troia di Romano Prodi nel Pd, un cavallo travestito di spontaneismo e di genuina contestazione. In realtà anch’esso “vaffa” antipolitico a minare forse l’ultimo partito tradizionale (ancorchè alla deriva) della scena pubblica italiana. Il 15 giugno 2017 il professor Romano Prodi rilascia un’intervista al Fatto Quotidiano in cui afferma: “Ho detto che abito in una tenda vicino al partito, ma la tenda si può mettere nello zaino e rimettersi in cammino”. Evidentemente questa delle tende è una fissa. Di chi vuole occupare un partito (ci riferiamo alle Sardine e non al professor Prodi) senza passare per una battaglia politica fatta di congressi, di elezioni, di faticata militanza.
Quando non ci si può sedere a un tavolo perché non si è rappresentativi di alcunchè e perché non si è ricevuta alcuna delega in tal senso, occupare è più facile. Si lavora meno e si hanno pure 30 secondi al telegiornale della sera. Del resto, ad andare per i mari dell’anti-politica si prendono questi pesci. Anzi, queste Sardine…- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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