Saviano spara: "Fuori dalla Rai per vendetta"

Lo sfogo per lo show saltato è un'accusa a Viale Mazzini: "Ai boss fa comodo non parlarne"

Saviano spara: "Fuori dalla Rai per vendetta"
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A volte ritornano. Roberto Saviano interrompe un lungo silenzio mediatico, ricomincia a parlare di camorra e ingaggia un derby a distanza sia con la tv di Stato, rea di averlo censurato, sia con il nuovo procuratore capo di Napoli Nicola Gratteri con cui è agli antipodi - dalla liberalizzazione della cocaina al rischio emulazione di Gomorra - ma senza nominarlo mai. «L'unica cosa che teme davvero la criminalità organizzata è che si accenda un faro su quello che fa», dice l'autore di Gomorra a Giulio Golia nello speciale Le Iene presentano: Inside, lo spin off del programma di Davide Parenti in onda stasera su Italia 1. «Nella grande tradizione dell'antimafia che fu di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, l'obiettivo era: parlatene, discutetene, fate che diventi un tema sociale». E invece oggi le mafie non fanno più notizia. Pochissimi giornali hanno dato il giusto spazio alle condanne in primo grado al processo Rinascita-Scott, nato dalle indagini di Gratteri che hanno decapitato la potente e feroce 'ndrangheta del Vibonese.

Di questo Saviano avrebbe voluto parlare in Rai, ma la sua trasmissione Insider - faccia a faccia con il crimine è stata cancellata a sorpresa dall'ad Rai Roberto Sergio. Il giornalista e sceneggiatore simbolo della lotta alla camorra, sotto scorta da 17 anni («È una vita rinchiusa, non è un privilegio ma un dramma», dice) avrebbe violato il codice etico della Rai definendo di fatto Giorgia Meloni «una bastarda» per la sua stretta sull'immigrazione clandestina. «È stata una vendetta politica», sibila a Golia, ricucendosi addosso i soliti panni del martire, come se la tv di Stato avesse fatto il gioco delle mafie «che vogliono la cronaca, non l'approfondimento, l'analisi o il dibattito». A 44 anni Saviano annuncia di voler cambiare qualcosa, senza però spiegarsi: «Sono riusciti a tenermi in una dinamica di non morte e non vita, mi hanno lasciato a metà. La morte non mi fa paura, è tempo che io faccia qualcosa perché questa vita così smette di essere vita, è un prezzo che non riesco più a sopportare».

Poi il tema si sposta sulla narrazione del male. «Non c'è alcuna priorità del racconto antimafia. Se ne parli è come se lo legittimassi o lo esaltassi, questa è la follia. Se vai a Scampia trovi Saviano merda, non siamo Gomorra, non c'è mai un Di Lauro merda». E a chi lo ha accusato, come in passato lo stesso Gratteri, di aver lucrato su Gomorra e sulla spettacolarizzazione della camorra, lui replica: «Lo stereotipo hanno visto Gomorra, hanno visto Mare Fuori, hanno visto Romanzo Criminale e vanno a sparare è un'assoluta fesseria. Nel 2022, in sei mesi, hanno sequestrato circa due armi al giorno solo nella città di Napoli. Può essere che in una situazione del genere, con la città piena di armi, tu utilizzi la scorciatoia culturale siccome lo vedono in televisione allora sparano?». Secondo Saviano «io divento Tony Montana di Scarface o don Vito Corleone del Padrino se ho già fatto quella scelta».

Ma quanto Genny Savastano c'è nel killer del musicista napoletano Giovanbattista Cutolo, ucciso per un parcheggio da un ragazzino che certo un camorrista non è? Per Gratteri Gomorra e le serie tv dove «i personaggi positivi sono criminali e uomini di potere» sono «porcherie che possono nuocere ai ragazzi», fatte da «spregiudicati o ingordi che vogliono solo guadagnare soldi», disse una volta il nuovo procuratore di Napoli. Di cui Saviano nell'intervista a Golia non parla, come mai finora. E anche questo è in fondo un brutto, bruttissimo messaggio.

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