Per «sbarcare il lunario» sono pronto a «combattere contro i mulini a vento», ma non «alle calende greche». Nello stesso periodo, tre frasi fatte (o modi di dire, o espressioni idiomatiche). La verità è che noi tutti, di queste formule «usa» e - purtroppo - «non getta», siamo schiavi inconsapevoli. Neppure il tempo di aprire bocca ed ecco impacchettarsi, quasi a nostra insaputa, formule linguistiche masticate e rimasticate da una vita, ma che continuiamo a riproporre perfino illudendoci che siano originali. Vale per il parlato, ma pure per lo scritto. Nessuno si salva: ci cascano pure fior di romanzieri e la crema dei giornalisti. Quante volte, ad esempio, ci siamo lasciati cullare dal banale e rassicurante dondolio del «parlare a vanvera» con l'effetto di «far venire il latte alle ginocchia» a chi magari non ha avuto la ventura di «nascere con la camicia»? Ma visto che non riusciamo proprio a liberarci dalla dipendenza di questa specie di slot-machine del riciclo lessicale, sarebbe almeno utile scoprire qual è l'origine sconosciuta dei famigerati «modi di dire».
A tal fine può essere utile il libro di Saro Trovato (sociologo, esperto di comunicazioni di massa e fondatore di Libreriamo) che ha, appunto, «trovato» (nomen omen) l'origine di ben 300 espressioni idiomatiche che intercalano il nostro eloquio con la stessa ripetitività con cui i conte Barambani dava della «merdaccia» al povero Fantozzi. Il volume si intitola «Perché diciamo così» (Newton Compton Editori) e l'autore lo definisce «un divertente libro di società, ricco di curiosità, che si può leggere da solo, condividerlo in famiglia o con gli amici, per giocare alla conoscenza e alla scoperta delle frasi fatte. Un dizionario indispensabile per un uso più consapevole del linguaggio». I 300 detti sono catalogati in base all'argomento trattato, all'origine e alla loro storia, con tanto di indice alfabetico «per aiutare il lettore nella variegata spiegazione delle espressioni idiomatiche». «Ogni modo di dire - sostiene Saro Trovato - nasce all'interno di una data cultura, civiltà, epoca storica diventandone testimone, ambasciatore. Uno degli obiettivi del libro è proprio questo: ridare dignità a tutti qui modi di dire che rischiano di essere dimenticati e di scomparire dalla memoria collettiva. Il loro merito è trasformare le parole in immagini, per certi versi sono una rappresentazione visiva della lingua».
Ne abbiamo scelte dieci tra le più gettonate, svelandone il mistero; «a buon intenditore poche parole».
Sbarcare il lunario
Già nella prima metà dell'Ottocento si possono trovare diverse attestazioni sull'uso di questa locuzione che resiste fino ai giorni nostri. La parola trae origine proprio dal «lunario», cioè l'almanacco popolare, un tempo assai diffuso tra la popolazione specie tra gli agricoltori, che riporta giorni e mesi dell'anno, le fasi lunari (da cui deriva il nome), ma anche previsioni meteorologiche, proverbi, ricette, e persino notizie sulle fiere e sui mercati.
Far venire il latte alle ginocchia
Un tempo, ben prima che venissero inventate e utilizzate le mungitrici automatiche, il mungitore si sedeva su uno sgabello al fianco della mucca e all'altezza delle mammelle sistemava un secchio tra le gambe e, armandosi di santa pazienza, iniziava a mungere finché il livello del latte non fosse arrivato al livello delle sue ginocchia. Tale attività richiedeva, naturalmente, molto tempo e molta calma. È un'espressione molto utilizzata per esprimere noia, impazienza in riferimento a una cosa, a un'azione o ad una persona.
Parlare a vanvera
L'origine è controversa. Alcuni studiosi evidenziano la somiglianza tra le parole «vanvera» e «vano»; altri ritengono che la parola derivi dal gioco di carte di origine spagnola «bàmbara» e che indichi una mano fortunata, vinta a caso; altri ancora sono più propensi a credere che «vanvera» sia una variante di «fanfera», una parola onomatopeica che vuol dire «cosa da nulla». L'espressione è usata per indicare una situazione in cui si pronunciano parole senza alcun fine. Un modo di dire analogo è «dar fiato alla bocca».
Attaccarsi al tram
Il detto deriva dalle corse in tram. Un tempo questi mezzi per il trasporto pubblico urbano erano dotati di alcune sporgenze esterne a forma di maniglia (quelli che oggi vengono definiti appositi sostegni) che venivano utilizzate dai ritardatari che, saltando al volo sul predellino, si attaccavano letteralmente al tram in corsa. L'espressione è usata come sinonimo di arrangiarsi, un consiglio rivolto alle persone a cui non si vuole dare aiuto, i ritardatari dovevano arrangiarsi.
Metterci una croce sopra
Due sono le ipotesi riguardanti le origini. La prima richiama il segno della croce che fanno i sacerdoti quando danno l'estremo saluto a un defunto; la seconda, la più accreditata, fa risalire questa espressione agli antichi registri contabili in uso presso i Romani. Un tempo sui registri, le partite e i crediti non esigibili venivano segnati proprio con una croce a margine. Il significato di questa espressione è: «Non pensarci più, dimentica». È un invito a dimenticare un fatto spiacevole. La frase analoga è: «Metterci una pietra sopra».
Fare la festa a qualcuno
Col significato di punire qualcuno con percosse, giustiziare e simili. E si può adoperare anche nei confronti degli animali. Ma che cosa c'entra la morte (giustiziare) con la festa? Una persona muore e si fa festa? L'espressione fa riferimento ai tempi in cui le pene capitali erano pubbliche e i preparativi, l'accorrere del popolo, facevano somigliare questa lugubre manifestazione a una... festa. E in effetti era tutto studiato a questo scopo: perché l'esecuzione ribadisse l'immagine della giustizia e della forza del potere.
Fare manfrina
Questo modo di dire è una frase dialettale spurgata ed entrata a pieno titolo nel linguaggio nazionale. Essa è, infatti, una corruzione del dialetto piemontese di Monferrina, una danza allegra e dai movimenti vivaci, di stile villereccio e così chiamata perché un tempo era in voga nel Monferrato ed entrata in società all'inizio del XIX secolo quale contraddanza. In senso figurato la manfrina è un discorso, una chiacchierata noiosa e tirata per le lunghe: è sempre la solita manfrina.
Fare da tappezzeria
La locuzione si riferisce alle ragazze non molto belle e un po' scontrose che, non ricevendo inviti durante una festa di ballo, si appartano «sdegnate» disponendosi ai lati della sala e facendo, ora dopo ora, «da tappezzeria». In senso metaforico, quindi, fanno da tappezzeria coloro che, in un ritrovo, durante una riunione o in una festa familiare se ne stanno o vengono lasciati in disparte. L'espressione si adopera anche in situazioni in cui qualcuno è costretto ad assistere trascurato e inerte all'attività di altri.
Farsi infinocchiare
Significa farsi raggirare con astuzia ma anche con grossolanità. Non tutti, forse, sanno come è nato. Nel periodo medievale gli osti veneti, in particolare quelli della zona veneziana, erano soliti offrire ai loro clienti dei rametti di finocchio prima di servire loro del vino di pessima qualità. Così facendo gli osti furbacchioni erano sicuri che gli avventori, mescolando odori e sapori, non si sarebbero accorti del vino «scadente» nel loro bicchiere.
Nascere con la camicia
Questo detto allude al fatto che al momento del parto alcuni bambini nascono ancora avvolti dal sacco amniotico.
La «camicia» sarebbe metaforicamente questo involucro che ha il compito di proteggere il feto durante la sua permanenza nel grembo materno, consentendo al bambino di vivere nove mesi in un ambiente umido e confortevole, adatto al suo sviluppo. Un involucro che in particolari casi resta anche al momento della nascita.
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