Anche questo refrain degli «ispettori inviati dal ministro per fare chiarezza» assomiglia ormai a un protocollo burocratico fine a sé stesso: rituale d'immagine più che di giustizia. È indubbio infatti che, sia nel caso del killer serbo Zlatan Vasiljevic, 42 anni (che a Vicenza ha ucciso la compagna Gabriela Serrano, 32 anni; l'ex moglie Lidia Miljkovic, 42 anni; e poi si è suicidarsi), sia nella vicenda del presunto killer italiano Daniele Bedini, 32 anni (che ha Sarzana è accusato dell'omicidio di due donne e ieri non ha risposto al gip), i giudici abbiano «sbagliato». Pur facendolo nel pieno «rispetto della legge», esattamente come avviene nella stragrande maggioranza dei cosiddetti «errori giudiziari», veri o presunti che siano. E quindi - in mancanza di malafede o dolo da parte del magistrato - l'invio degli ispettori ministeriali disposto dal guardiasigilli finisce quasi sempre in un nulla di fatto. Probabilmente sarà così anche per la visita che gli «007» della ministra Cartabia si accingono a fare nei tribunali di Vicenza e Genova, dove si sono sviluppati i controversi fascicoli penali dei pregiudicati Vasiljevic e Bedini. Nel caso di Vasiljevic, l'«accusa» mossa ai giudici di Vicenza è di averlo arrestato e, troppo presto, rimesso in libertà: una libertà che gli ha permesso di compiere una strage. Inappuntabile, sul piano formale, la replica del procuratore capo: «Non potevamo tenerlo in carcere più di quanto previsto dalla legge. Inoltre, nel disporre la scarcerazione, ci siamo basati sulle relazioni favorevoli dei medici e degli assistenti sociali». Questi ultimi, a loro volta, sostengono che il parere favorevole alla libertà dell'imputato era maturato sulla scorta di un «percorso riabilitativo rivelatosi ampiamente positivo». Peccato che lo Zatlan «riabilitato» dalle istituzioni abbia poi commesso una carneficina, tra l'altro annunciata da una lettera con minacce di morte inviata tre giorni prima della mattanza all'ex moglie. Un cupio dissolvi che ha finito per coinvolgere anche l'ultima compagna del serbo, uccisa prima che lo stesso Vasiljevic si togliesse la vita. Più complesso, sul piano degli «incartamenti», il capitolo-Bedini: l'artigiano carrarese, indagato per i delitti di una prostituta e di una transessuale, sarebbe infatti dovuto finire dietro le sbarre già 4 mesi prima del duplice omicidio. Ma ciò solo se la Corte d'appello di Genova avesse subito dato corso alla condanna a tre anni per una rapina a Massa Carrara. Arresto che invece è stato «procrastinato». I giudici genovesi si dichiarano «innocenti»; che i «colpevoli» siano i loro colleghi di Massa? Risultato: tra un «ritardo» e una «dimenticanza», Daniele Bedini è rimasto a piede libero. Trasformandosi, secondo l'accusa, in un serial killer che ha sparato in fronte alle sue vittime (questo l'esito, ieri, delle autopsie). Testimoni e video lo incastrerebbero. Se e quando gli ispettori del ministero di Grazia e Giustizia finiranno gli accertamenti tra i fascicoli del triangolo giudiziario Vicenza-Genova-Massa, nessuno si ricorderà più delle vittime. E dei loro carnefici. Intanto quattro donne sono state ammazzate. I femminicidi restano un'emergenza nazionale: ieri in Veneto un'altra donna è stata strangolata dal marito, poi suicida.
Ma buttare la croce addosso a magistrati, medici e assistenti sociali chiamati ogni giorno a decisioni delicatisssme, non sarebbe corretto. Ma pretendere più efficienza e rapidità in decisioni da cui dipende la sicurezza di tutti noi, questo sì, è un diritto della società.
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