Si potrebbe iniziare a raccontare questa storia come si fa con le fiabe: c'era una volta una bambina che non aveva le scarpette bianche per fare la Comunione e così il fratello Salvatore, poco più grande di lei, cominciò a lavorare di notte, facendosi prestare dal calzolaio del paese in cui viveva (Bonito, a cento chilometri da Napoli) tutto il necessario per realizzarle. Era il 1907 e Salvatore Ferragamo, perché questa è la sua storia e quella della sua famiglia, aveva nove anni e le idee molto chiare. Avrebbe fatto questo mestiere: sarebbe stato un calzolaio. A sedici anni, fa l'unica cosa possibile per chi cerca fortuna: va Oltreoceano e raggiunge i fratelli. Lavora alla Plant Shoe Factory di Boston dove rimane affascinato da quelle macchine che anticipano l'uomo dei Tempi moderni raccontato da Charlie Chaplin. Apprezza quei marchingegni, ma ne vede anche tutti i limiti. L'artigianato è un'altra cosa. C'è più cura. Più mestiere. Si trasferisce in California, là dove sta nascendo il cinema. La scritta Hollywooland (poi Hollywood) sarebbe arrivata di lì a poco. La sera Salvatore studia anatomia e scopre che il peso del corpo poggia sull'arco plantare. Realizza la scarpa perfetta e così le nascenti star cominciano ad andare da lui. È il 1924 e, dopo soli tre anni, Ferragamo torna in Italia «a Firenze, la culla del Rinascimento - ricorda la figlia Giovanna, presidente della Fondazione Ferragamo intervistata ieri dal direttore Alessandro Sallusti - che rappresenta una concentrazione di bellezza unica. Ha scelto proprio questa città perché aveva in mente un lavoro artigianale di cui la Toscana è piena». Giovanna prosegue il racconto sollecitata da Sallusti. La crisi del '29 colpisce l'azienda. È l'inizio delle difficoltà che porteranno al fallimento. Una caduta dalla quale Salvatore si riprende con maggior forza tanto da creare, nel 1938, la Ferragamo Spa. Nel 1940 sposa Wanda Miletti dalla quale avrà sei figli: Fiamma, Giovanna, Ferruccio, Fulvia, Leonardo e Massimo. Ed è sempre Giovanna che racconta uno dei momenti più difficili non solo della sua vita, ma anche dell'azienda: «Quando mio padre ci lasciò, fu mia madre a prendere in mano tutto. Era il 1960. Lo ha fatto per il grande amore che nutriva nei confronti di mio padre: non voleva che i suoi sogni finissero con la sua morte». Oggi molte imprese vengono vendute, spesso a stranieri. Non Ferragamo: «Crediamo che l'azienda possa rimanere in famiglia e vorrei che ci fosse una continuità. Ferragamo non può esistere al di fuori dell'Italia perché il made in Italy è un plus. Del resto, girando il mondo ho visto che il nostro Paese è sempre più apprezzato». Come garantire la continuità? In casa Ferragamo è fondamentale la regola del tre.
«So che è curioso ma molti anni fa - racconta Giovanna - ci siamo posti un problema: se tutti i nostri parenti, figli e nipoti, dovessero entrare in azienda come potremmo gestirla? Così abbiamo deciso che solo tre persone della nuova generazione sarebbero entrate in azienda e solo dopo aver fatto esperienza altrove per tre almeno anni». Così la dinastia Ferragamo proseguirà. C'era una volta. E c'è ancora. A riprova che la moda è molto più di un lusso.
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