C'è persino una lettera del trio Conte-Di Maio-Toninelli. Altro che presa di distanza. Il caso Diciotti è tutto l'opposto di Open Arms, anche se le due storie sembrano scritte in fotocopia. Una nave carica di profughi, 190 all'inizio, alla ricerca di un porto sicuro. Certo, qualche differenza c'è: la Diciotti non è un'imbarcazione messa in mare da una ong, come Open Arms, ma è un pattugliatore della Guardia Costiera. Però le peregrinazioni, le difficoltà e i dinieghi del ministro dell'Interno Matteo Salvini sono gli stessi. Non si scende. Prima deve intervenire l'Europa.
Solo che l'Europa, tanto per cambiare, tace, e invece interviene la magistratura che contesta a Salvini esattamente lo stesso reato oggi di attualità: il sequestro di persona. È l'estate del 2018. Un copione che però si capovolge in due momenti essenziali, anzi tre, che fanno riflettere. Il primo è la lettera dei ministri che davanti all'azione della magistratura scrivono una missiva dai risvolti clamorosi: il 17 febbraio 2019 Luigi Di Maio, Giuseppe Conte e Danilo Toninelli si autodenunciano spiegando che anche loro hanno commesso lo stesso reato di Salvini. Testuale. Tutto il contrario di quel che avverrà qualche mese dopo per Open Arms, quando i 5 Stelle molleranno per strada il ministro dell'Interno, con il Conte 1 ormai al capolinea.
È la cronologia a fare la differenza e a farci comprendere come possono mutare i giudizi e gli umori del Palazzo: il caso Diciotti scoppia nell'agosto 2018, un anno prima del gemello Open Arms, quando il governo Conte 1 uno è saldo e la coalizione fra 5 Stelle e Lega funziona bene. «Essere alleati - hanno detto i pm di Palermo sabato scorso nella loro requisitoria contro Salvini - non vuol dire essere correi». Vale per Open Arms, con l'esecutivo in pezzi, non valeva qualche mese prima quando i partner della coalizione sembravano marciare d'amore e d'accordo.
La Diciotti rimane per giorni e giorni in stallo nel Mediterraneo: non c'è l'ong spagnola, ma c'è Malta che litiga con l'Italia e non ne vuol sapere di farsi carico dei profughi. Non si sbarca, afferma Salvini. E i leader dell'altro partito di maggioranza condividono quella scelta.
Tredici persone vengono portate a terra, ma 177 restano prigioniere sullo scafo. Tanto che la Procura di Agrigento, la prima ad intervenire, contesta il sequestro di persona. E qui si scopre la seconda grande differenza rispetto a Open Arms. Per competenza, dopo una carambola di rimpalli da mal di testa per competenza, la vicenda approda alla procura di Catania che, come è prassi in queste circostanze, procede in tandem con il tribunale dei ministri. E la procura di Catania, guidata da Carmelo Zuccaro, chiede l'archiviazione delle accuse: il ritardo nello sbarco è «giustificato dalla scelta politica, non sindacabile dal giudice penale per la separazione dei poteri, di chiedere in sede europea la distribuzione dei migrantiin un caso in cui secondo la convenzione Sar (Search and rescue, ndr) internazionale sarebbe toccato a Malta indicare il porto sicuro».
La scelta per i pm di Catania non è criticabile. Ma appartiene all'autonomia della politica. Il finale però prevede un altro colpo di scena: il tribunale dei ministri di Catania non condivide questa impostazione e chiede ugualmente al senato l'autorizzazione a procedere contro Salvini per sequestro.
Proprio come farà Palermo per Open Arms. Ma a marzo 2019 la spaccatura non c'è ancora stata e i 5 Stelle pilotano Palazzo Madama fino al rifiuto. I giudici si devono fermare. Qualche mese dopo cambia tutto e oggi Salvini rischia una condanna a 6 anni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.