Non rimandare a domani quello che puoi fare oggi. Se non fosse la massima della saggezza popolare da ripetere al ragazzino svogliato che non ha voglia di fare i compiti, sarebbe un buon punto di partenza per un programma di governo. A meno che non sei a Palazzo Chigi per grazia ricevuta, magari con compagni di avventure con cui hai ben poco da spartire, poltrone a parte. La parabola del Ponte Morandi dovrebbe aver insegnato l'importanza della tempistica, quando si toccano materie che impattano sull'economia nazionale e sulla vita delle persone. Anche in politica, l'attimo è fuggente. Figuriamoci i consensi.
Dal crollo che causò 43 vittime innocenti, il 14 agosto 2018, fino alle polemiche di queste ore sono passati quasi 100 settimane. Subito dopo la tragedia, il premier Conte, l'allora ministro dei Trasporti Toninelli, lo stesso Di Maio e pure Salvini si mostrarono compatti sulla revoca (a parole) della concessione ad Autostrade per l'Italia. Oggi al tavolo dell'esecutivo siede un altro socio di maggioranza, cioè il Pd, molto meno propenso a stracciare il contratto. Sul Polcevera sorge già un nuovo viadotto, esempio di efficienza a cui purtroppo non eravamo abituati. Eppure siamo punto, anzi «ponte e a capo»: a gestirlo sarà ancora Autostrade. Ma «temporaneamente», perché la revoca «è sempre possibile», avverte il governo. Significa che 700 giorni non sono bastati per prendere una decisione. Non si tratta di un incidente di percorso, o di una spiacevole dimenticanza. La clessidra dei problemi scorre veloce tra promesse, annunci e dirette Facebook. E il tempo non gioca mai a favore di chi lo spreca. Prima o poi l'urgenza presenta il conto, tutto assieme. L'esecutivo è costretto a decidere, e se il momento è sbagliato, la probabilità che le scelte siano sbagliate è molto alta. Quando il procrastinare è elevato a modus operandi, a rimetterci sono tutti, soprattutto gli italiani.
Il discorso si applica all'affaire Genova-Aspi, qualunque sia la decisione finale di Conte & C., c'è da giurarci che sarà comunque impopolare, dato che la società è nel mirino della gente imbottigliata in code interminabili da Nord a Sud. Idem per il caso Alitalia, con gli aeroporti aperti a singhiozzo nel dopo-Covid; o per il dossier ex Ilva, con migliaia di lavoratori già piegati dalla cassa integrazione e dal lockdown. Un anno dopo lo strappo del Papeete, pare sia giunta l'ora di archiviare i decreti sicurezza voluti da Salvini. Il Viminale si prepara ad allentare le misure su porti chiusi e multe alle Ong, proprio nel pieno dell'allerta per il rischio contagi dall'estero...
Rimandare da sempre fa rima con governare.
Peccato che il Paese resti imprigionato nel limbo, e se il «rilancio» non arriva mai, accontentatevi del rinvio. «Troveremo una soluzione in tempi brevi» è il mantra ideale, programma buono per tutte le stagioni, per chi vivacchia al solo scopo di tirarla per le lunghe.
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