Schiaffo a Renzi, il Consiglio di Stato tira il freno alla riforma delle Popolari

Dubbi sul profilo costituzionale delle norme sul diritto di recesso dei soci

Schiaffo a Renzi, il Consiglio di Stato tira il freno alla riforma delle Popolari

Il Consiglio di Stato assesta uno schiaffo morale a Matteo Renzi: la riforma delle banche popolari che il premier ha imposto manu militari nel gennaio 2015, facendone il manifesto del proprio new deal creditizio, è in odore di violare la Costituzione. I giudici amministrativi hanno infatti «sospeso» in via cautelare, con una ordinanza, stralci della circolare Bankitalia che regolamenta l'iter di trasformazione degli istituti cooperativi in società per azioni.

Il problema sono i paletti posti al diritto di recesso, e quindi alla possibilità dei soci dissenzienti di monetizzare le azioni: l'impianto consente infatti di limitare il recesso, «anche in deroga alla legge», laddove il relativo esborso farebbe precipitare la solidità patrimoniale dell'istituto sotto il livello di sicurezza deciso dalla Bce. Il provvedimento del Consiglio di Stato, che rimanda l'ultima parola alla Corte Costituzionale, si materializza quando la maggior parte delle popolari ha compiuto il salto verso la spa: la prima è stata Ubi (-4,7% in Borsa) nell'autunno 2015, quindi Banco-Bpm a corollario del processo di nozze che sarà chiuso a fine anno e di recente Creval e Bper (-2%). E molto è appeso a cosa deciderà la Suprema corte, i cui atti impattano però su tutti i procedimenti non ancora definitivi: sembra quindi allungarsi un'ombra di incertezza su tutte le trasformazioni non ancora del tutto perfezionate come Banco-Bpm, Creval e Bper. In ogni caso se le banche dovranno accogliere tutte le richieste di recesso dei soci (per Banco-Bpm sono 200 milioni) si dovrà poi controllare la capienza di capitale in termini Bce.

Senza contare che a questo punto pare opportuno rimandare le assise delle ultime due coop costrette a diventare spa: Popolare di Sondrio e Popolare di Bari (che non è quotata in Borsa e che ha fissato il recesso a 7,5 euro, attribuendosi un valore di 1,2 miliardi), perchè i soci esclusi dal recesso potrebbero fare ricorso.

Le ordinanze del Consiglio di Stato confermano «le preoccupazioni espresse da Assopopolari su una delicata riforma come quella delle banche popolari, imposta peraltro con provvedimento d'urgenza, per ragioni e motivi che ancora non sono stati individuati», ha affondato il colpo il presidente dell'associazione che difende le banche cooperative Corrado Sforza Fogliani, rimarcando come i giudici siano «comunque sulla strada della salvaguardia della concorrenza ad ogni livello e di banche che da sempre sono a servizio del territorio». Scorrendo le pagine dell'ordinanza, emerge in particolare come il problema di legittimità costituzionale sollevato dal consiglio di Stato poggi su due aspetti: il primo è la possibilità che il diritto al rimborso in caso di recesso «possa essere limitato» o anche escluso tout court e non, invece, «soltanto differito» entro limiti certi e riconoscendo ai soci i relativi interessi.

Così come non va bene il fatto che a Via Nazionale sia attribuito «il potere di disciplinare le modalità di tale esclusione», poichè questo può avvenire «anche in deroga a norme di legge» e quindi con un potere di «delegificazione in bianco». Nel mirino infine le norme che impediscono a una holding cooperativa di detenere la maggioranza di una banca Spa. Un paletto per evitare escamotage nell'addio del voto capitario.

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