Al Nazareno il clima è di entusiasmo represso: «In autunno andiamo verso il triplete, e a quel punto il governo inizierà a barcollare davvero», dicono convinti i parlamentari vicini alla segretaria Pd.
Il riferimento calcistico è alle elezioni regionali d'autunno: Umbria ed Emilia Romagna, già previste e che vedono la coalizione allargata compatta attorno ai candidati scelti. E ora anche la Liguria, con l'aiutino delle Procure. Aiutino fieramente smentito, all'unisono, sia dalla magistratura che da chi, nel centrosinistra, ha cavalcato la carcerazione preventiva di Giovanni Toti per ottenerne le dimissioni, ma tant'è: si voterà, pare, a ottobre. E il centrosinistra si sente già la vittoria in tasca.
Il candidato designato già c'è: Andrea Orlando, ex ministro e capocorrente Pd, ligure (nella foto). Ma sia lui che Elly Schlein si muovono con molta cautela: ieri, dopo un lungo faccia a faccia a Montecitorio, hanno fatto sapere che «la scelta del nome del candidato sarà demandata al tavolo di coalizione», che si dovrebbe riunire già questa settimana, prima comunque della pausa estiva della Camere, il 7 o l'8 agosto. Dunque, «prima il progetto politico e, solo in un secondo momento, il tavolo del centrosinistra sceglierà il nome da schierare». Questione di diplomazia interna: bisogna tener buoni i Cinque Stelle di Giuseppe Conte, in crisi dopo la bastonata europea e le risse interne col vecchio capocomico Beppe Grillo; e la sinistra doc che ha l'orticaria all'idea di ritrovarsi nella stessa coalizione di Matteo Renzi. Al quale viene posto da sinistra l'aut aut: o esci dalla giunta Bucci a Genova o non ti vogliamo con noi. E bisogna far digerire ai cespugli l'idea che sia il Pd a designare tutti i candidati di una tornata regionale politicamente decisiva. Ma l'operazione, qui, è più facile: gli altri, di candidati, non ne hanno.
Anche Orlando, che pure si prepara da mesi alla possibile corsa da governatore dopo il terremoto giudiziario, ci va con i piedi di piombo: mettere insieme il «campo larghissimo» non è facile, e l'onere - ha chiarito ieri nel colloquio con Schlein - tocca alla segretaria. Lui scioglierà la riserva solo allora: le prospettive di vittoria, visto «il caos totale» che regna a destra, al momento senza alternative dopo la fuoriuscita forzata del «cavallo di razza» Toti, lo tentano. Ma vuole che siano gli altri a chiederglielo. E utilizza anche lui la carta Renzi per frenare: «Ha espresso giudizi poco lusinghieri sulla mia candidatura», lamenta, «e comunque bisogna rompere col sistema Toti-Bucci». Tradotto: Renzi esca dalla giunta di Genova. Il leader di Iv non replica direttamente ma spiega: «Siamo stati all'opposizione di Toti e saremo parte del centrosinistra ma senza unirci a cori barbari e manettari». Quanto al veto su Bucci «è un accordo fatto davanti ai cittadini in campagna elettorale.
Si discuta di tutto, ma in modo serio, sui programmi e non sui giornali». E «il ragionamento sulle alleanze spurie deve valere per tutti». Ad esempio per il Pd, spiegano i suoi, che a Sanremo appoggia un sindaco «civico» benedetto dal forzista Claudio Scajola.
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