In «punta di piedi», con «grande emozione» e con il vaste programme di «cambiare in meglio le vite delle persone, delle comunità e anche del pianeta», Elly Schlein si iscrive al partito che si à candidata a guidare, ossia il Pd.
In effetti, proporsi come segretaria di un partito senza farne parte sarebbe stato un po' disdicevole. Anche se a dire il vero al Pd Elly Schlein si era già iscritta, al seguito di Pippo Civati, una decina di anni fa. Giusto il tempo di essere eletta europarlamentare: subito dopo aveva capito che c'era una «deriva di destra» causa Matteo Renzi (il segretario che l'aveva messa in lista alle Europee), che e quindi «con un fortissimo groppo in gola», e con «dolore infinito» aveva stracciato la tessera e seguito il medesimo Civati in un altro partito, «Possibile», di cui poi si sono perse le tracce.
Ieri, per dare solennità al gran ritorno nel Pd (che nel frattempo l'ha pure eletta in Parlamento da «indipendente»), Schlein ha scelto la cornice simbolica e un po' nostalgica della Bolognina, legata nell'immaginario post-Pci alla svolta di Occhetto e alla triste necessità di cambiar nome al partito comunista, cui era miseramente crollato in testa il Muro di Berlino. Necessità che, a parere della aspirante segretaria, si ripropone: per Schlein infatti il cambio di nome del Pd «è un tema che va affrontato dando la parola agli iscritti», con un richiamo alla parola «lavoro».
Intanto Elly si lancia nella battaglia congressuale contro il conterraneo Stefano Bonaccini con contenuto entusiasmo: «Vengo con umiltà e in punta di piedi a provare a portare un contributo» perché «è emersa una necessità condivisa di ricostruire la sinistra attorno a una visione nuova». Dopo Franceschini e Orlando, la neo-iscritta segretaria trova un nuovo supporter nel virologo e parlamentare Andrea Crisanti, che conta su di lei per «abbattere il muro che relega le opportunità alle élite culturali economiche e politiche».
Ma si capisce che per abbattere il muro delle élite, e soprattutto per trovare i voti necessari a farsi eleggere, servono truppe. Per questo Schlein prova a corteggiare e tirare dalla propria parte il sindacato: ieri è andata a rendere omaggio al congresso della Fiom di Bologna, esprimendo il proprio entusiasmo per lo sciopero generale Cgil contro la «iniqua manovra» del governo e applaudendo alle «nuove frontiere» indicate dalla Fiom, quali «la riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario».
Peccato che la Cgil, in attesa di proclamare uno sciopero per ora solo vagamente ipotizzato, non stia intanto dando una mano al Pd per riempire la piazza di sabato prossimo, convocata da Enrico Letta contro la manovra del governo (che peraltro ancora non c'è). Al Nazareno c'è preoccupazione: la piazza scelta (Santi Apostoli a Roma) non è difficile da riempire, ma nel clima di questi giorni, tra scontri interni e batoste esterne, come il caso Qatar abbattutosi sulla «Ditta», si teme il rischio flop.
Tanto più che, in particolare dalle regioni in cui a febbraio si vota, le reazioni del partito sono state fredde: «Possibile che con le regionali alle porte si pensi a una manifestazione senza senso?», manda a dire il segretario dei giovani Pd della Lombardia Lorenzo Pacini, intervistato dal Fatto. E da Roma sono partiti appelli verso Emilia e Toscana, perché almeno le regioni rosse organizzino qualche pullman.
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