Una multa di un milione di euro al giorno finché le disposizioni europee non saranno state applicate. Il braccio di ferro tra l'Ue e Varsavia in materia di organizzazione della magistratura polacca entra nella fase delle sanzioni o, come preferisce dire il premier ribelle Mateusz Morawiecki, in quella delle punizioni e dei ricatti. Che, va da sé, il governo nazionalista della Polonia giudica nient'altro che un'iniquità ai suoi danni, oltre che un'aberrazione giuridica e politica.
Tutto si può dire, comunque, fuorché la multa decisa dalla Commissione Europea (e ad essa stessa destinata) giunga come una sorpresa. La presidente della Commissione Ursula von der Leyen aveva minacciato da tempo di fare ricorso a un simile strumento per costringere Varsavia a rientrare nei ranghi. E ieri la parola è passata alla Corte di Giustizia europea, che nel giustificare la multa ha ricordato come la Polonia non abbia dato seguito a una precisa prescrizione dell'Ue in materia giudiziaria: quella di sospendere l'applicazione di norme nazionali in tema di competenze della Sezione disciplinare della Corte suprema polacca. Era questo uno dei punti più delicati del contendere tra Varsavia e Bruxelles, con la prima che, più in generale, aveva imboccato la via della ribellione sancendo la preminenza delle leggi nazionali su quelle comunitarie: l'esatto contrario di quanto sta scritto nei trattati europei che la stessa Polonia ha liberamente sottoscritto.
Nella sentenza di condanna, la Corte europea afferma che quanto richiesto al governo di Varsavia era «necessario al fine di evitare un danno grave ed irreparabile all'ordinamento giuridico dell'Unione Europea e ai valori sui quali tale unione si fonda, in particolare quello dello Stato di diritto». Questo significa che alcune norme nazionali polacche in ambito giudiziario vengono bocciate tout court, in quanto espressione di un sistema che non garantisce eguaglianza di diritti ai cittadini di quel Paese, che sono prima di tutto cittadini europei.
La replica di Varsavia è assolutamente negativa. Essa si basa sulla pretesa che, così agendo, l'Ue compia un'invasione di campo, arrogandosi il diritto di decidere su materie la cui gestione spetta ai singoli Stati membri. Nelle parole del portavoce del governo polacco, «l'Unione Europea è una comunità di Stati sovrani, governati da regole chiare che mostrano una chiara divisione delle competenze. E quella della magistratura è di competenza esclusiva degli Stati membri. La via delle punizioni e dei ricatti verso il nostro Paese non è quella giusta». Ancora più duro il vice ministro della Giustizia Piotr Kaleta, che parla di disprezzo e di ignoranza della Costituzione polacca, e di abusi della Corte Ue che altro non sarebbero che «la nuova fase di un'operazione volta a impedire la sovranità della Polonia con l'usurpazione e il ricatto».
Per il momento, Varsavia non ha espresso il rifiuto di pagare la multa, che va calcolata a partire dalla data di notifica alla Polonia e fino a quando essa non si conformerà agli obblighi stabiliti da Bruxelles già nel luglio scorso o, in mancanza, fino al giorno della pronuncia della sentenza definitiva.
È però evidente che il muro contro muro, o se si preferisce la resa dei conti tra istituzioni europee e Paesi sovranisti, è ormai irreversibile: una battaglia politica in cui Bruxelles ha dalla parte del manico il coltello dei suoi generosi fondi comunitari cui i polacchi non intendono rinunciare.
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