Ambientalista, ma non abbastanza da rinunciare agli oleodotti. Paladino delle minoranze, almeno finché sui giornali non sono uscite le foto di quando si era pitturato la faccia per travestirsi da nero. Promotore della parità di genere, ma accusato dalla procuratrice generale dello Stato, Jody Wilson-Raybould, di averle fatto pressioni affinché manipolasse un processo. I canadesi perdoneranno Justin Trudeau per non essere stato all'altezza delle promesse elettorali? È questa la domanda che si pongono gli analisti nel giorno in cui il secondo Paese più grande al mondo va al voto per decidere se concedere o meno un secondo mandato al premier uscente, eletto quattro anni fa con poco meno del 40% delle preferenze e allora acclamato come speranza del progressismo mondiale.
Le urne si sono chiuse nella notte italiana. La previsione più accreditata è che ne uscirà un governo di minoranza: Trudeau non riuscirà a replicare il risultato del 2015 e perderà la maggioranza alla Camera (338 seggi da assegnare con l'uninominale secco: chi ha un solo voto in più vince il seggio). Gli ultimi sondaggi mostravano un testa a testa tra il suo Partito liberale (dato al 31% da Ipsos) e i Conservatori di Andrew Scheer (33%), lo sfidante principale. Politico di lungo corso e dal temperamento mite, Scheer ha cercato di incarnare il cittadino comune. In campagna elettorale ha puntato su sicurezza e lotta alla pedopornografia, ma sui temi sociali (è antiabortista e contrario ai matrimoni gay) e sull'ambiente (è scettico sulle politiche green di Trudeau) non è in sintonia con l'anima progressista del Paese.
Sono i Conservatori, dunque, la principale minaccia per il premier uscente. Che però, se anche dovesse perdere la Camera, potrebbe rimanere al governo alleandosi con il Nuovo partito democratico di Jagmeet Singh. Di fede sikh e origini indiane, Singh è il primo leader non bianco di un partito nazionale in Canada. La sua formazione di stampo socialdemocratico, in crescita nelle ultime settimane e data al 18%, ha escluso un'alleanza con i Conservatori, ma potrebbe entrare in un eventuale esecutivo di coalizione con Trudeau. Sempre nell'area di sinistra, in corsa ci sono anche i Verdi di Elizabeth May (6%). A destra troviamo invece il Partito del Popolo dell'ex ministro Maxime Bernier (3%), anti-immigrazione e anti-ambientalista, e i nazionalisti del Bloc Québécois guidati da Yves-Francois Blanchet (7%).
Trudeau ha perso lo slancio e il fascino degli esordi. Il suo indice di gradimento è oggi al 35%, la metà rispetto a quanto rilevato nel primo anno di governo. Il leader liberale non può più giocare la carta della giovane età (Scheer e Singh hanno 40 anni, 7 in meno di lui), deve fare i conti con l'impopolarità di alcune sue misure, come la carbon tax sulle emissioni di carbonio, e deve ricostruirsi una credibilità dopo i passi falsi di cui sopra. Episodi che ne hanno minato l'immagine - curatissima sui social - e che lo hanno costretto più volte, in campagna elettorale, a chiedere scusa agli elettori, soprattutto per quanto riguarda le fotografie, risalenti ai primi anni Duemila, che lo ritraggono «in flagranza di blackface»: in America, dove il tema della razza è molto sentito, dipingersi il viso per scimmiottare chi è scuro di pelle è considerato altamente irrispettoso.
Dalla sua, Trudeau ha l'appoggio dell'ex presidente Usa Barack Obama, ancora assai popolare in Canada. Resta da capire se i suoi connazionali - e in primis i più giovani, veri fautori della vittoria di quattro anni fa - sono ancora disposti a dargli fiducia. E ad accettare le sue scuse.
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