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Se per buonismo (e paura di Lombroso) si finisce per voler chiudere i musei

Non c'è pace per il museo Cesare Lombroso di Torino. C'è un comitato (si chiama No-Lombroso) che ne vorrebbe la chiusura. Con tanto di petizione on line motivata così: «È un omaggio della città a questo pseudo-scienziato che teorizzò l'inferiorità dei meridionali». E ancora «le sue tesi ebbero successo e, negli anni seguenti, furono alla base delle teorie naziste della supremazia della razza ariana...». E la petizione è soltanto l'ultima tappa di una serie di attacchi a questo museo di antropologia. C'è stata una «guerra» per il possesso della testa del brigante Giuseppe Vilella che i No-Lombroso volevano restituita al comune d'origine, Motta Santa Lucia. La querelle è già anche approdata a livello internazionale. È stato interessato l' Icom (International Council of Museums). L'Icom ha verificato la natura del museo sulla base dei codici etici, sia della stessa organizzazione, sia di quelli italiani e internazionali. E ha riconosciuto al museo piena legittimità scientifica. Perché ovviamente nessuno al museo sposa le teorie lombrosiane sulla possibilità di identificare i criminali dalla forma del cranio. Il museo racconta un pezzo della storia della scienza con i distinguo del caso. E Lombroso, nonostante tutti i limiti d'approccio, che erano i limiti di un epoca più che i limiti di un singolo studioso, fu per molti versi uno scienziato innovativo e onesto. Per rendersene conto basterebbe leggere un saggio super partes come Lombroso e il brigante (Salerno Editrice) di Maria Teresa Milicia. Del resto questo era il parere persino di Gramsci che pure di Lombroso fu oppositore. Chiudere il museo sarebbe come pretendere la chiusura delle visite al Colosseo perché siamo contrari all'uccisione degli schiavi da parte delle belve per divertire la plebe.

Ma il problema non si pone solo in Italia, è di ieri uno speciale di Le Monde dedicato al tema dell'antropologia e al Museo dell'uomo di parigi. Il tema è chiaro sin dal titolo: «Quel avenir pour les restes humains?». La discussione è più sfumata che nel caso del museo torinese. Ma alcune assonanze ci sono. A partire dalla diatriba sui reperti da restituire. A esempio, nel 2010 si è deciso di ridare alcune teste Maori alla Nuova Zelanda e la creazione di una apposita commissione scientifica. E c'è chi vede nella collezione del Museo dell'uomo, che vanta reperti da tutto il mondo, un retaggio del colonialismo. Ma ogni museo ha la sua storia. Le sue collezioni, se smontate, quella storia non la raccontano più. E poi un grande museo dovrebbe possedere solo reperti autoctoni? E se di certo non si può decidere se qualcuno sarà un criminale dalla forma del cranio esistono precise valenze scientifiche nella ricerca biometrica.

Anche in Francia c'è chi rifiuta vengano messe in discussione, come l'antropologo Alain Froment: «È una scienza molto contemporanea: la misurazione dei crani, non è affatto a sfondo razziale». Insomma, si rischia di cancellare la storia e la scienza nel nome del politicamente corretto.

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