Se il giocattolo rischia di rompersi

Se il giocattolo rischia di rompersi

D omenica mattina. Allunghi la mano sul comodino e afferri il cellulare. Con gesti automatici apri WhatsApp: vuoto. Possibile che non mi abbia scritto nessuno?, ti chiedi un po' perplesso e con un evidente calo di autostima. Senza pensarci ti ritrovi su Facebook: vuoto. Tutto fermo al giorno prima. Si insinua una vaga preoccupazione. Apri Instagram e anche lì, anche in quel mondo lì dove non dorme mai nessuno e sembra che non esistano fusi orari, è tutto fermo. A questo punto per sicurezza apri la finestra e controlli che almeno fuori il mondo reale stia bene, non sia andato anche lui in down. Sferraglia il solito tram sotto casa, per fortuna. Tre ore. Tre ore di isolamento forzato dai social network. Tre ore senza le notifiche di WhatsApp, senza gli status di Facebook e le foto di Instagram. Il giocattolo ieri si è rotto di nuovo. E questo per Mark Zuckerberg inizia a essere un problema. Anche perché il malfunzionamento che ha paralizzato i social ieri arriva ad appena un mese dall'ultimo è lunghissimo - più di tredici ore - crash della storia di Facebook e soci. Mettiamo subito le mani avanti: non è un dramma. E, a dire il vero, tre ore senza scocciatori, esibizionisti e luogocomunisti pronti a pontificare su tutto - dalla partita di calcio alle lettere di Ratzinger - sono anche piacevoli e salutari. Ma il dubbio è che dalle parti di Menlo Park non stia andando nel modo giusto. I social riscuotono successo planetario e sono diventati un ambiente a noi familiare come il salotto di casa perché sono sempre con noi. A portata di mano, basta strofinare il dito sul display del telefono e come da una moderna lampada di Aladino saltano fuori le nostre chat, i nostri ricordi, i nostri amici.

Ma se i social si inchiodano a giorni alternati, allora non adempiono più alla loro funzione principale. Non averli lì, sotto il proprio polpastrello, lascia un po' spaesati. E ci fa sentire molto asocial. E forse è anche un bene.

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