Ci risiamo con Carlo Tavecchio, presidente della Federazione italiana gioco calcio. Ce l'hanno a morte con lui perché non sa usare le posate da pesce, perché parla in un linguaggio approssimativo, perché si lascia sfuggire opinioni pesantucce per quanto con toni e - suppongo - intenzioni scherzose, perché qui, perché là. Sono d'accordo, l'uomo non è raffinato, in Inghilterra non lo farebbero mai baronetto. Ma non merita neppure di essere linciato per quello che dice, visto che quello che fa è impeccabile.
Nel nostro spensierato Paese pieno di problemi che nessuno risolve, e molti si impegnano ad aggravare, ti perdonano tutto tranne qualche battuta infelice. Mesi orsono, Tavecchio rischiò la fucilazione per avere dichiarato col sorriso sulle labbra che il nostro campionato impiega numerosi mangiatori di banane, cioè neri. Espressione inelegante, non vi è dubbio, ma in fondo dal significato per nulla offensivo. Io, come tanti connazionali, anche non essendo negro sono un divoratore di banane, frutti prelibati. Che c'è di male a nutrirsene?
Gli italiani sono comunemente definiti mangiatori di pizza e di spaghetti, ma non hanno mai chiesto l'intervento dell'Onu affinché la si finisca di metterli alla berlina in quanto adoratori della dieta mediterranea. Non si capisce per quale motivo un africano debba sentirsi mortificato perché preferisce la banana alla «margherita» e ai bucatini alla carbonara. Nonostante ciò, il presidente ha passato un guaio. E un altro guaio è stato costretto ad affrontare avendo detto che le donne calciatrici, sino a poco tempo fa, sembravano handicappate rispetto ai maschi. Una folla di commentatori politicamente corretti lo ha aggredito, e lui si è salvato per un pelo da chi gli chiedeva immediate dimissioni per indegnità lessicale.
Alcuni giorni fa, il reprobo è stato nuovamente al centro di uno scandalo del piffero, provocato da un'altra sua frase giudicata addirittura razzista, pronunciata in privato, ma resa pubblica da qualcuno che l'aveva registrata, commettendo una scorrettezza. Quale frase? Non l'ho udita, pertanto la riporto a senso: «La sede della Lega nazionale dilettanti comprata da quell'ebreaccio di Anticoli; non ho niente contro gli ebrei, ma conviene tenerli a bada».
Poi, l'incauto dirigente del ramo pedate ha dedicato una battutaccia anche agli omosessuali: «È bene che stiano lontani da me, io sono normalissimo». Figurarsi, è successo il finimondo. Chiunque è soggetto a sfottimenti di ogni genere: i carabinieri sono i principali protagonisti delle barzellette, i meridionali da secoli devono sopportare di essere chiamati terroni, i bergamaschi sono considerati polentoni rozzi, i leghisti sono sistematicamente ricoperti di insulti, le persone di destra vengono tacciate di fascismo, il berlusconiano medio è leccaculo per definizione e via andare.
Tutti possono essere presi, più o meno bonariamente, per i fondelli tranne i gay e gli ebrei. I tifosi del Napoli, rimproverati da quelli veronesi perché si lavano poco, risposero spiritosamente così: «Giulietta è una zoccola». Non scoppiò una guerra. Già. A una burla si replica con una burla. Inoltrare petizioni, invocare dimissioni, organizzare ostracismi è infantile, suscita chiasso e non dirime il contenzioso. Meglio una risata «tombale» che una tragedia insanabile.
Inoltre, buttarla in politica è ridicolo. La sinistra, che si agita per l'«ebreaccio» di Tavecchio, a ogni conflitto tra palestinesi e israeliani, si schiera apertamente con i primi e condanna i secondi, che non nascondono l'ambizione di cancellare Israele dalla carta geografica. Ma la stessa sinistra nostrana si scaglia contro chi, citando un luogo comune, dice che gli ebrei sono tendenzialmente tirchi o parsimoniosi. Che sarà mai? Tutto il razzismo si fermi qui.
Tra l'altro il presidente della Federazione si è battuto contro la Palestina che voleva impedire la partecipazione della rappresentativa israeliana alle competizioni internazionali, e ha vinto lui. Questo è un fatto, non una parola.
Ma in mancanza di logica, noi italiani trascuriamo i fatti e siamo perennemente in battaglia per riformare il vocabolario. Non ci interessa la concretezza delle azioni, ma il modo in cui le raccontiamo. E lo chiamiamo politicamente corretto.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.