Se l'anticapitalismo si studia su trattati di economisti nazisti

Il crollo del capitalismo fu teorizzato da un economista del nazismo. L'unica via d'uscita è nel liberalismo

Se l'anticapitalismo si studia su trattati di economisti nazisti
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Sul Corriere della sera di venerdì 21 giugno il prof. Luciano Canfora (nella foto) ha dato una lezione magistrale di anticapitalismo. «Per fronteggiare il capitalismo serve una nuova Internazionale», è stato intitolato il suo articolo. Il professore ricorda con soddisfazione che nel clima rovente della grande crisi economica del 1929-1933 la tesi dell'imminente crollo del capitalismo tornò d'attualità. Fu alla base della strategia del Comintern (VI congresso), e fu vagheggiata, su tutt'altro versante, dagli ambienti della «sinistra» nazionalsocialista. Il prof. Canfora (che è di bocca buona) ricorda con favore la riflessione di un economista tedesco divenuto nazista, Ferdinand Fried (1893-1967), la cui opera La fine del capitalismo (1931) viene ristampata oggi in italiano da «un coraggioso editore» (Oaks). Fried aderì poco dopo al nazismo, e fu membro delle SS dal 1934: ciò dovrebbe insospettire sulla qualità del suo anticapitalismo. Ma il prof. Canfora non ha dubbi: si tratta di «una critica puntuale e radicale del liberismo economico».

Questa critica, dice il professore, deve essere assolutamente ripresa. E segnala il «pugnace saggio» di Bernie Sanders, intitolato appunto Sfidare il capitalismo, con prefazione di Fausto Bertinotti, appena edito da Fazi. «Bertinotti scrive Canfora apre la nota introduttiva con una osservazione calzante: la sinistra europea, da quando è diventata liberale, si è ridotta a essere insignificante». A ciò si potrebbe aggiungere che Bertinotti, non avendo fatto concessioni al liberalismo, non ha più trovato consensi ed è scomparso dalla vita politica.

Quello che il prof. Canfora rimprovera al capitalismo è implicito in quanto visto finora: viviamo in un sistema economico incardinato sul principio e sull'obiettivo del maggior profitto, e che, divenuto essenzialmente capitale finanziario, accentua vieppiù l'abisso tra povertà e ricchezza, ecc. ecc.

Vogliamo ricordare all'esimio prof. Canfora l'elogio che Luigi Einaudi fece della «economia libera». «La caratteristica dei paesi occidentali egli scrisse non è, come si favoleggia negli imparaticci di una storia economica deteriore, quella entità mitica astratta detta capitalismo; ma sono invece quelle cose vive che si chiamano economia di mercato o ad impresa libera; dove gli uomini creano e contrattano fra di loro e non ubbidiscono né al monopolista privato né all'unico datore pubblico di lavoro».

L'economia libera, l'economia progressiva, che ha come proprio motore la libera concorrenza, non è propriamente una economia capitalistica, per l'ottimo motivo che la figura centrale, il protagonista di tale economia, non è il «capitalista», bensì l'imprenditore, l'inventore, l'organizzatore, il capitano di uomini e di strumenti. «Capitalista» tende sempre più a essere l'azionista, l'obbligazionista, il depositante presso banche e casse di risparmio. Sicché i «capitalisti», che investono i loro capitali nelle industrie e nei commerci, dovrebbero essere designati piuttosto col nome di risparmiatori. Ma quelli che trasformano il risparmio in capitale, «sono gli imprenditori od organizzatori o inventori o capitani di banche, di società anonime, di imprese industriali, agricole e commerciali private. Questi tendono ad essere i veri dominatori del mondo economico moderno». Sono essi, infatti, che fondano le aziende (industriali, commerciali), che smerciano i prodotti delle aziende sui mercati, e cercano sempre nuovi mercati, e trasformano continuamente le produzione in funzione delle richieste dei mercati. I «capitalisti», invece, sono meri percettori di utili, e sono completamente alla mercé del successo degli imprenditori.

Quando questa economia «libera» è veramente libera (cioè non insidiata da posizioni di privilegio o di monopolio) è un complesso altamente creativo, in cui tutti possono dare il meglio di sé (gli imprenditori, ma anche gli inventori di nuove macchine e di nuove formule organizzative, i tecnici che migliorano e perfezionano continuamente i processi produttivi, e via dicendo). L'economia libera è la conquista più alta della civiltà occidentale.

«Contro la confusione mentale diceva Einaudi noi dobbiamo innanzitutto proclamare alto che sinora l'umanità non ha inventato nessun sistema economico produttivo di più copiosa ricchezza e meglio distribuita, nessun sistema atto a far vivere più largamente le grandi moltitudini umane di quello nel quale vive il mondo occidentale, il mondo di noi europei occidentali, degli americani e dei paesi politicamente indipendenti ed abitati e governati da discendenti di europei».

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