Se non sono i grillini a lamentarsi delle accuse di demagogia alla politica

Tra la quinta e la sesta votazione, i grandi elettori dotati di piccoli poteri percepiscono che l'ora delle decisioni fatali è prossima.

Se non sono i grillini a lamentarsi delle accuse di demagogia alla politica

Tra la quinta e la sesta votazione, i grandi elettori dotati di piccoli poteri percepiscono che l'ora delle decisioni fatali è prossima. Prossima, ma ignota. Tutti comprendono che con la settima votazione si dovrebbe aprire una strada, nessuno saprebbe dire dove porterà. Come gattini ciechi, non ci resta che dare sfogo al malumore crescente mettendo a nudo le rispettive contraddizioni tra una sigaretta, un caffè e un supplì (eccellenti i supplì della Camera, addentati con malcelata invidia dai senatori alla prima esperienza culinaria a Montecitorio). Un grande elettore leghista di rito giorgettiano vaticina per Salvini la fine che fece Bersani una volta dissipato il ruolo di king maker sette anni fa. «Dopo il nobile ritiro di Berlusconi - dice - avrebbe dovuto cambiare gioco, invece, per paura della Meloni, ha insistito sul candidato di centrodestra. E ha fallito». Il fallimento viene descritto con accenti da tragedia greca, o, meglio, da mito biblico. La seconda carica dello Stato, diceva un grande elettore centrista a ridosso del primo voto, «si presenta all'Aula nel ruolo di agnello sacrificale, propiziatorio di scenari successivi». Il centrodestra come Abramo, la Casellati come Isacco e nessuno ad incarnare Dio che ne ferma la mano. Ma poi, quali sarebbero gli «scenari successivi»? Sul punto, sia pure alla cieca, grandi elettori dotati di piccoli poteri concordano: Casini o Mattarella Draghi no. Draghi è prezioso dov'è. E, come dice un grande elettore del Pd di affiliazione franceschiniana, «questo insistere per migrare al Colle rischia di far scadere la sua scelta di sacrificarsi per la nazione in un calcolo di carriera personale». Affermazione sottoscritta a malincuore da più d'uno tra i grandi elettori draghiani presenti nel capannello in Transatlantico.

Ma l'opera di disvelamento è solo all'inizio. Un grande elettore grillino ammettere l'incongruenza di impallinare una donna dopo aver invocato una donna. «Che figura ci facciamo?», domanda senza aspettarsi una risposta. Che poi, se la Casellati ce l'avesse fatta avremmo dovuto chiamarla «capa dello Stato»?, si interrogava in mattinata, ironizzando sull'ossessione della parità di genere, il grande elettore forzista Andrea Orsini. E Letta? «Enrico ha giocato di rimessa sul centrodestra per mascherare il fatto che il Pd, come il Movimento 5stelle, era diviso e non ha mai avuto un nome da proporre. Anche stavolta, è stato salvato da Salvini», ammette un dem.

E Fico? «Ci sono voluti quattro giorni per fargli capire che, con i venti di antipolitica che spirano, era necessario prevedere non una, ma due votazioni al giorno per dimezzare i tempi e con i tempi le accuse di cialtroneria che ormai tutti i demagoghi dei media indirizzano al Parlamento», lamenta un grillino. Si conclude cosi, col pentastellato che denuncia l'antipolitica la nemesi di una giornata «storica» trascorsa nell'attesa che la Storia si compia. Sopra le nostre teste, naturalmente.

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