"Se perdiamo, tutti a casa". Viaggio tra i dem impauriti

L'ex dalemiano Latorre: "Per i ballottaggi allacciamo le cinture di sicurezza e speriamo". Nella torre d'avorio del premier si sentono i primi scricchiolii. E c'è timore per il referendum

"Se perdiamo, tutti a casa". Viaggio tra i dem impauriti

Hanno cominciato a temerlo dopo il referendum sulle trivelle, in cui il «blocco» anti-renziano aveva fatto capolino su un tema estremamente ostico. Hanno cominciato a bisbigliarlo dopo il primo turno delle amministrative. E ora, mentre i ballottaggi in città come Roma, Bologna, Milano e Torino (Napoli è già persa) rischiano di volgere al peggio per il premier, hanno preso contezza dell'atroce dubbio: forse la stagione di Matteo Renzi è già al tramonto. E sono bisbigli che non provengono dalla minoranza dem, ma dal corpaccione del partito, da quell'area di mezzo che ha permesso a Renzi prima di entrare nella stanza di Bersani al Pd e poi in quella di Letta a Palazzo Chigi. «Mettiamo la cintura di sicurezza e speriamo - osserva preoccupato Nicola Latorre, ex uomo ombra di D'Alema ora renziano -. E se va male ai ballottaggi, inutile illudersi, il governo non regge. Sicuro. Il problema è che Renzi è abituato a fare a cazzotti, ma in politica bisogna anche saper metter da parte i guantoni».

Discorsi ben diversi da quelli del premier che esclude conseguenze sul governo dalla sconfitta nei ballottaggi («voglio vedere chi osa») e, addirittura, promette di entrare nel Pd «col lanciafiamme». Per cui si sono create due realtà sovrapposte: c'è quella di buona parte del Palazzo che considera Renzi il prossimo perdente; e c'è quella dell'interessato che si comporta come se nulla fosse. «Matteo è prigioniero della vittoria delle Europee - osserva il sottosegretario Luciano Pizzetti, che pure gli vuole bene -, non si accorge che la realtà è mutata: ha tutti contro e l'assurdo è che in questa situazione ci si è ficcato da solo». «Se perde i ballottaggi - gli fa eco Maurizio Migliavacca, consigliere di Bersani - nel Paese rischia di innescarsi l'effetto del tutti contro di lui. E non basta certo fingere di scaricare Verdini per ribaltare la situazione».

Il punto è che il premier ha peccato di presunzione e il vizio, coltivato per due anni, è degenerato in una sorta di masochismo. «In Italia - osserva Luigi Marino, grande amico di Romano Prodi - si consumano le leadership in 100 giorni. Due mesi fa Renzi era il padrone del mondo. Oggi Merola, il sindaco di Bologna non lo vuole in città nella campagna per il ballottaggio perché, parole sue, porta sfiga».

Appunto, la malizia dei centristi con cui il premier ha costruito la sua Torre d'avorio nel Palazzo, e che ora rischiano di trasformarsi nel suo tallone di Achille. Eh sì, perché uno dei segni distintivi dei «centristi» è proprio la capacità di essere i primi a salire sul carro del vincitore ma anche i primi a scendere da quello dello sconfitto. Nella Torre cominciano i primi scricchiolii che più si avvinano i ballottaggi, più si trasformano in quel tipo di scosse che precedono i crolli: segnali che accomunano sia il mondo di Alfano che quello di Verdini. Quelli che provengono dall'alleato di governo ufficiale sono i più preoccupanti. «Dopo i ballottaggi - avverte Salvatore Torrisi, uno dei dissidenti siciliani di Ncd - ci saranno rivolgimenti. Schifani vuole ricostruire il centrodestra e la vittoria del No è lo scenario più adatto». Di che parla Torrisi? Semplice, di una probabile scissione. Motivo? Molti senatori di Ncd non si sentono garantiti da Alfano nel rapporto con Renzi. E il risultato gramo alle elezioni rende ancora più vaghe le prospettive future. «Gli sta bene! La loro strategia - esplode l'ex Gaetano Quagliarello - ha perso ogni credibilità: con quattro ministri e una folla di sottosegretari non raggiungono il 2% a livello nazionale. La Lorenzin, ministro della Sanità, ha preso a Roma l'1,2%. Meno di Casa Pound». Numeri e valutazioni che rendono credibile l'ipotesi scissionistica perché, per usare le parole di Schifani, «la politica è matematica».

Dalla matematica di Ncd, agli umori dei verdiniani. Verdini continua guardare a Renzi, ma il tentativo del premier di scaricargli la responsabilità dell'insuccesso elettorale lo ha deluso. Lui ha esorcizzato il tutto con una battuta: «Dicono che in Campania abbiamo i voti della camorra, ma per quelli che abbiamo preso la camorra non esiste». I suoi, però, non ridono: Verdini promette che Renzi cambierà l'Italicum, ma loro non gli credono; Verdini scommette che vincerà il Sì e gli altri, tutti, ripetono che vincerà il No. La mediazione per tenere insieme umori così eterogenei è che Renzi non sia considerato l'ultima spiaggia. «Dicono - insinua l'ex ministro della Difesa, Mario Mauro - che Verdini abbia già cominciato a lusingare Grasso per il dopo Renzi». Magari non sarà così, ma è indubbio che i verdiniani cominciano a immaginare un piano B. «Faremo i comitati per il Sì - confida il lombardo Piccinelli - ma non faremo campagna. In fondo lo scenario che uscirebbe dalla vittoria del No per un'area centrista non è male». «Ora vincerebbe il No - ammette il braccio destro di Verdini, Riccardo Mazzoni - ad ottobre chissà. Ma l'autunno è il periodo in cui i governi raggiungono l'indice di gradimento più basso».

Di certo le prime rondini temono l'arrivo della tempesta. La coppia Bondi&Repetti dopo essere passata da Forza Italia a Verdini per amor di Renzi, ha chiesto udienza al capogruppo del misto Loredana De Petris: meglio trovare un nido sicuro in un gruppo senza colore.

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