Il populismo è ricomparso, scrive il direttore di Repubblica, Maurizio Molinari. Ma forse non se n'era mai andato, dato che i fenomeni socio-politici non sono animali che si smarriscono e poi tornano a casa. I fattori, non solo economici, che l'hanno generato, sono ancora presenti. Eppure, rispetto al ciclo iniziato con la Grande Recessione 2007-2013 i cui effetti politici maggiori furono Brexit e Trump, il populismo è cambiato nella sua radice: non è più sovranista. Guardiamo lo scenario rispetto al 2018: lì tre partiti, 5 Stelle, Lega e Fratelli d'Italia, sostenevano l'uscita dall'euro, e il primo pure quella della Unione Europea. Oggi sono tutti diventati europeisti: certo non per convinzione, né per idealismo, ma più che altro per necessità. Il quadro della Ue è infatti la nuova Tina, There is no alternative, non ci sono alternative, per citare Margaret Thatcher, una che la Ue l'aveva criticata spesso. Di Maio europeista lo è diventato quasi subito una volta al governo, gli altri ci hanno messo un po' di più: ma il programma di Fratelli d'Italia è, sulla carta, iper europeista, quanto a Salvini, parte del gruppo più euroscettico di Bruxelles, invoca a ogni pie' sospinto la Ue: certo, come un bancomat distributore di soldi. Ma senza quel bancomat? È accaduto che la pandemia, la guerra, e ora la crisi energetica hanno rafforzato la Ue, invece di farla affondare. Tra la crisi greca, quella dell'euro e dei migranti e la Brexit, sembrava che essa stesse per saltare in aria. Invece ha reagito in un modo che la teoria dei sistemi sociali di Niklas Luhmann ci fa comprendere: il sistema si è auto-corretto recependo i segnali ostili, attraverso un'azione di retroazione impersonale; anche se, non ci fossero stati Draghi, Macron e Merkel, le cose sarebbe state diverse. E tra i segnali ostili, v'erano anche le minacce sovraniste. Con una eterogenesi dei fini, i sovranisti, Brexit e Trump, e Putin, oltre che la pandemia, hanno reso la Ue più solida. E anche più integrata. I conservatori europei, il gruppo di Meloni, e Identità e democrazia, di Salvini, possono ben invocare l'«Europa delle nazioni». Ma queste, o meglio lo spazio di sovranità degli Stati nazione, è oggi assai più ridotto rispetto al pre-pandemia, il «pilota automatico» assai più direttivo, il «vincolo esterno» ancora più vincolante. L'idea di sovranità nazionale puro flatus vocis.
Che non ci siano alternative alle Ue, gli ex sovranisti dovrebbero confessarlo però non solo a Cernobbio o alle tv straniere: è bene che lo declamino pure ai comizi. Altrimenti v'è il rischio che i loro fedeli si sentano menati per il naso. E, in un futuro non tanto lontano, puntino su un nuovo cavallo.
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