Un titolo dedicato a Laura Antonelli campeggia sulla prima pagina di un quotidiano. Dice: «Quell'arte difficile di invecchiare bene». È invecchiata meglio lei di quelli che oggi la compiangono, e in realtà nascondono dietro le parole tristi e melense, una cattiveria da vecchi, che è la più brutta maniera di diventare vecchi, ed è il mantenere l'ipocrisia della gioventù, di quando si mentiva per salire in fretta le scale del successo, e poi, saliti lassù, cercare di buttar giù gli altri, prima che costoro ci riuscissero con te.
Ora la vedono povera e sola, ma non esaminano se stessi, e dicono che ha sbagliato, ha fatto tanti errori. La definiscono infelice. Dicono: «Che tristezza». È più triste il loro modo di vivere che la maniera di invecchiare e di vivere di Laura.
Chi ha detto che Laura Antonelli è invecchiata male e morta peggio? Lo ripetono tutti, dietro il velo di paroline educate. I ritratti a lei dedicati sono in due tempi, come i film di una volta. Primo tempo: Laura Antonelli bellissima, ma in realtà lei non esiste, con il suo cuore, la sua mente. Ci siamo noi che la guardavamo, icona della gioventù non sua ma nostra. Secondo tempo: guardiamo la sua vecchiaia, ne cacciamo lontano il fantasma, nessuna domanda sul nostro modo di campare e di invecchiare.
Ma qualcuno le ha lette sul serio le rievocazioni di questa donna? Sono pezzi di narcisismo tremendi. Meglio invecchiare e morire come Laura Antonelli che campare e vestirsi ridicolmente da eterni dandy, compiaciuti di non essere soli, mentre siamo tutti soli, e fingere sorrisi sulle terrazze romane con altre antiche glorie, facendo la parte di se stessi perduti, con le rughe tirate, la cipria di gesso. La vecchiaia è dura e difficile. I vecchi soli sono tanti. A volte arriva tardi. Per i poveri cristi arriva presto, prestissimo, e la morte ti porta via e in casa non c'è nessuno. Laura Antonelli è morta così, eppure è morta meglio di come moriranno tanti che si dispiacciono del suo stato di abbandono, ne approfittano per trovare belle parole e rammaricarsi, dimenticandosi di un fatto: che lei era lei, proprio così, e se le volevi bene non la molli perché sta male, e poi ha fatto scelte strane, ma in fondo sue, tutte sue. Accidenti lei alla fine era contenta così. È morta felice, ha detto. Non lo sappiamo se sia vero. Ma meglio morire così, senza nessun ipocrita intorno, con tre-amici-tre da chiamare al telefono, una fede fanciulla in Gesù e in Dio che lei chiamava «papino», che diventare decrepiti e riveriti, con ospiti a tavola preziosissimi, con la gente in coda per venire a casa tua, e scoprire che in realtà - ma solo dopo morta - non ti voleva bene nessuno e anche i tuoi cari si sbraneranno per l'eredità. Il libro più crudele dell'anno è quello dedicato alla donna più potente e ricercata di Roma, Maria Angiolillo, oggi diventata best-seller suo malgrado, con gli altarini esplorati insieme agli scheletri dell'armadio ( La signora dei segreti. Il romanzo di Maria Angiolillo. Amore e potere nell'ultimo salotto d'Italia , di Candida Morvillo e Bruno Vespa).
In realtà sotto sotto lo sappiamo dove sta il bene. E quale vita è giusta e buona. In questi giorni qualcuno mi dica se non ha invidiato le persone nominate nel biglietto lasciato da Laura Antonelli che era povera, poverissima, ma non era affatto incapace di intendere e volere, tant'è che è stata capace di riconoscere la gratuità e l'affetto senza tornaconto. I carabinieri hanno trovato un biglietto con alcuni nomi e accanto i numeri di telefono: «Se ho bisogno di qualcosa, cercate Lino Banfi, Claudia Koll, Gino Ciogli e mio fratello Claudio». Qualcuno di cui aveva il numero di telefono e sapeva che sarebbe corso da lei l'aveva.
Povera, sola, ma con numeri di telefono sicuri, buoni. È morta a terra con il Vangelo in mano. «Voglio andare da Gesù», sono le ultime parole che il prete ricorda. Era di una bellezza strepitosa. Risorgerà ancora più bella.
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