Magistrati spaccati, seconda puntata. Per la seconda volta in ventiquattr'ore la componente moderata delle toghe, Magistratura Indipendente, si tira fuori dal coro sul tema dei trattenimenti dei migranti in Albania, esploso venerdì scorso con la sentenza romana che ha bocciato i provvedimenti governativi. Il primo segnale esplicito di spaccatura era arrivato con le pesanti critiche di MI al magistrato di sinistra Marco Patternello, autore di un attacco pubblico al premier Giorgia Meloni. Ieri, la frattura approda dentro il Consiglio superiore della magistratura: i sei giudici eletti al Csm nelle fila moderate rifiutano di firmare il documento in appoggio ai giudici della sezione immigrazione di Roma, autori delle sentenze salva-profughi. La compattezza delle toghe nello scontro col potere politico ormai appartiene al passato.
La divisione si è consumata intorno alla iniziativa proposta dal consigliere indipendente (ma proveniente dalla sinistra) Roberto Fontana di aprire una «pratica a tutela» di Luciana Sangiovanni, Silvia Albano e degli altri magistrati romani che hanno annullato i trattenimenti con sentenze definite «abnormi» dal ministro Carlo Nordio. Le «pratiche a tutela» sono atti quasi simbolici, che servono a dimostrate l'appoggio del Consiglio a magistrati sotto tiro: l'ultima è stata aperta in difesa di un'altra toga schierata con i migranti, la siciliana Iolanda Apostolico, con il voto di tutte le correnti.
Ieri, invece, il crac. La mozione in difesa dei giudici romani raccoglie il consenso anche di tre consiglieri di nomina parlamentare, il piddino Roberto Romboli, il grillino Michele Papa e persino del renziano Ernesto Carbone, che raramente si schiera accanto alle «toghe rosse», ma MI si rifiuta di firmare. Per tutta la giornata di lunedì Fontana aveva cercato di raccogliere l'unanimità dei colleghi, limando il testo del documento. Che però nel testo finale, anche affermando che «non si esprime alcuna valutazione di merito» sulle sentenze romane, in realtà le sposa in pieno, spiegando che «si fondano sulle decisioni della Corte di Giustizia Europea, vincolanti per i giudici nazionali» e che, per valutare l'elenco dei «paesi sicuri» dove rimpatriare i profughi i giudici si sono attenuti alle informazioni del ministero degli Esteri.
È questa difesa a spada tratta delle decisioni pro-immigrati a convincere Magistratura Indipendente a non firmare. La componente moderata punta a svelenire il clima, «con questa iniziativa - spiegano ai colleghi - alimentiamo invece lo scontro con la politica». Per bilanciare, alle altre correnti i moderati chiedono di prendere posizione anche contro Silvia Albano, la presidente di Magistratura Democratica che si è occupata di uno dei trattenimenti (ovviamente annullandolo) dopo avere rilasciato dichiarazioni pubbliche «con le quali era già stata più volte manifestata una precisa e netta posizione di contrarietà alla normativa da applicare».
Le toghe di centro e di sinistra rifiutano la richiesta e a quel punto la rottura è inevitabile. Il documento sottoscritto alla fine da sedici membri del Csm afferma che «le dichiarazioni di queste ore da parte di importanti rappresentanti delle istituzioni alimentano un ingiustificato discredito nei confronti della magistratura».
In una mail girata all'interno del Csm Fontana ha giudizi severi per i colleghi che non hanno firmato, «questa frattura non ci voleva in un momento tanto grave, io ho sperato fino alla fine che prevalesse tra i consiglieri di Magistratura Indipendente l'opzione per l'unità a fronte della gravità e palese infondatezza degli attacchi ai magistrati della sezione immigrazione del tribunale di Roma». E i dissidenti vengono accusati di fare il gioco della destra: «la frattura verrà certamente cavalcata nell'ambito della campagna in atto contro la magistratura»,scrive Fontana.
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