Se anche la Chiesa, per motu proprio del Pontefice, riesce a sbloccare una riforma invocata da anni dai Vescovi di tutto il mondo (fin dal Sinodo del 2005), stravolgendo l'iter del procedimento canonico di nullità del matrimonio, semplificandolo, un'ombra di rossore deve necessariamente attraversare il viso di questo nostro pachidermico Paese, dove un legislatore tiene in pancia riforme per anni, le sbandiera ai quattro venti e poi partorisce topolini piccoli piccoli.
Le regole che per tre secoli, in seno alla Chiesa, erano rimaste intatte, ingessando questo tipo di cause e canalizzandole verso una porzione esigua di soggetti, spesso (...)
(...) altolocati (chi non ricorda la vicenda di Carolina di Monaco e Philippe Junot?), oggi vengono modificate con tante e tali innovazioni da rendere davvero la pronuncia di nullità canonica usufruibile da tutti, veloce e «gratuita».
Papa Francesco sceglie il Vescovo-Giudice e lo investe di competenze che prima spettavano solo ai Tribunali della Sacra Rota, consentendogli addirittura, in determinati casi evidenti (matrimonio non consumato), di pronunciare lui stesso la dispensa.
Negli altri casi il Vescovo potrà rimettere i richiedenti avanti il Tribunale ecclesiastico che dovrà celebrare il processo entro un solo anno e la sentenza non richiederà più due gradi di giudizio conforme, ma sarà immediatamente esecutiva.
Fantascienza al cospetto delle regole civilistiche in cui viviamo, dove il recupero dello status di «libero» – che si ottiene con il divorzio - passa ancora attraverso le forche caudine di due procedimenti, quello di separazione e quello di divorzio, che sovente riservano percorsi tortuosi e complicazioni inimmaginabili.
Mi riferisco all'indotto di consulenze (perizie), professionisti, servizi sociali coinvolti direttamente dai giudici che spesso rimettono, come Ponzio Pilato, a questi soggetti porzioni di decisione, così deresponsabilizzandosi quando si tratta di stendere la sentenza finale, per giunta dilatando le tempistiche già tremende di un giudizio contenzioso.
Abbiamo tutti auspicato e sperato nella riforma del «divorzio breve» e ci siamo dovuti accontentare di un compromesso che non rende più agevole, snello, economico l'iter (sempre separazione e divorzio s'han da fare), ma opera solo sui tempi di attesa prima di adire il giudice divorzile.
In termini pratici cambia davvero poco: quando il giudizio è contenzioso (e quindi opera fra coniugi che non riescono a trovare un accordo consensuale), il fardello di costi, tempi, fatica, esasperazione è sempre lo stesso.
Mentre la Chiesa delega, semplifica, accelera, aumentando persino il novero dei motivi di nullità del matrimonio, il legislatore italiano si muove lento e partorisce una riforma che è davvero poca cosa rispetto all'occasione storica che aveva al suo cospetto.
Stato e Chiesa si muovono su piani diversi, certo, ma con Papa Francesco oggi la Chiesa ha innestato la quinta marcia, mentre noi stiamo ancora uscendo dal parcheggio, occupando le commissioni parlamentari con discussioni infinite sui matrimoni omo-affettivi e le coppie di fatto, senza poi però dare alle famiglie tradizionali strumenti agili per gestire le loro crisi.
È così che si fanno le riforme, quelle vere, quelle che hanno una ricaduta pratica sulla gente, non già con illusorie opere di maquillage come il taglio delle ferie dei magistrati che non hanno inciso in alcun modo sulla struttura e sulla lunghezza dei
processi in Italia.Ma non chiamate questa riforma «divorzio cattolico» perché si tratta «solo» di nullità del matrimonio religioso e gli effetti civilistici della pronuncia della Sacra Rota sono tutti da valutare, caso per caso.
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