Per ragioni diverse, gennaio sarà il mese delle riforme. Non tanto per il premierato (che al momento resta ancora congelato, con l'impressione che la maggioranza voglia diluirne i tempi di approvazione), quanto per l'autonomia differenziata (il 20 gennaio la Corte costituzionale deciderà sull'ammissibilità del referendum abrogativo) e, soprattutto, per la riforma della giustizia. Quest'ultima in particolare - con la separazione delle carriere - sembra infatti destinata a uno sprint che dovrebbe portare al via libera della Camera entro i primi di febbraio (l'8 gennaio l'aula di Montecitorio è chiamata a esprimersi sulle pregiudiziali delle opposizioni), con il Senato che dovrebbe completare la seconda lettura entro fine giugno. Trattandosi di una riforma costituzionale sono comunque necessarie quattro letture, ma arrivare fra sei mesi al giro di boa sarebbe un segnale politico importante.
D'altra parte, la separazione delle carriere sembra davvero essere l'unica delle tre riforme promesse dalla maggioranza in campagna elettorale su cui convergono con convinzione tutti i parti della coalizione di governo. È una storica battaglia di Forza Italia, certo. Tanto che sabato 11 gennaio sarà al centro di un panel ad hoc nella due giorni Azzurri in vetta che il partito - saranno presenti tutti i big, a partire da Antonio Tajani - organizza a Roccaraso, nota località sciistica in provincia di L'Aquila. Ma sono mesi che Giorgia Meloni la rilancia con forza, al punto che persino i parlamentari azzurri che si occupano del dossier riconoscono che è merito della premier se il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha deciso di accelerarne l'iter. E pure Matteo Salvini, all'indomani dell'assoluzione di Palermo nel processo Open arms, l'ha definita una «riforma urgente». Insomma, tutti d'accordo. A differenza del premierato (caro a Fdi, ma visto con qualche dubbio trasversale sia dalla Lega che da Forza Italia) o dell'autonomia differenziata (su cui il partito guidato da Tajani non esita a manifestare enormi perplessità).
L'inizio del 2025, insomma, potrebbe essere il momento in cui la maggioranza prova a ricompattarsi in nome della separazione delle carriere. Che, alla fine, è l'unica riforma su cui sembra esserci una forte convergenza anche del corpo elettorale. Aspetto non secondario, non solo sul fronte più generale del consenso, ma anche in vista di un eventuale referendum abrogativo. Che - a differenza di quello sull'autonomia differenziata - nel centrodestra sono convinti di vincere. D'altra parte, qualche mese fa durante l'esame della commissione Affari costituzionali della Camera presieduta dall'azzurro Nazario Pagano, sulla separazione delle carriere non solo c'è stato l'accordo in blocco del centrodestra, ma pure la non ostilità dei parlamentari di Italia Viva (Maria Elena Boschi), Azione (Matteo Richetti) e +Europa (Riccardo Magi).
Insomma, appuntamento alla Camera a metà di gennaio.
Con una sola questione davvero da risolvere. Sul sorteggio per i componenti laici dei due Csm che delinea la riforma, infatti, restano forti dubbi. E in Commissione si è deciso di non affrontare la questione e demandarla alla decisione dell'aula di Montecitorio.
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