Chi non la vede di buon occhio preferisce pensare a lei come all'usato sicuro. Angela Merkel è la garanzia di una Germania a cui non piacciono i cambiamenti. Barbeque la domenica e bandiera dello stato federale nel giardino, poche e semplici certezze. Una di queste è la cancelliera. Ammaccatissima questo giro, 8,3% in meno di quattro anni fa, «speravo meglio», ammette. Invece si deve accontentare del Bundestag più frammentato di sempre, con sei partiti, cosa che rischia di complicare e allungare i tempi di formazione del suo quarto governo. Nel 2013 ci vollero quasi 100 giorni per dare vita all'esecutivo, oggi, costretta dai numeri a una complicatissima coalizione Giamaica (dai colori nero di Cdu/Csu, giallo dei liberali e verde dei Grünen), potrebbe impiegarci di più.
Un lungo, lunghissimo tragitto il suo, fatto di irripetibili appuntamenti con la Storia. Primo di tutti la caduta del Muro di Berlino, lei, figlia devota di un padre pastore protestante in un villaggio della Germania Est dove la religione era mal tollerata. Abituata Angela, fin dall'inizio a essere la diversa nel gruppo. A scuola, brava ma serissima, lo dimostrano le fotografie, lei in fondo all'aula, timidissima e mai un sorriso. Abituata a lavorare sodo senza però essere nel gruppo. Poi, il mondo cambiò e le due Germanie diventarono una e lei era lì. Pronta a combattere per farsi strada. Ancora una volta preparata ma isolata. Lei, unica donna tra uomini alfa, abituati a spartirsi poteri e attenzioni tra loro. Lei era fuori.
E fuori hanno cercato di lasciarla per molto tempo. Anche a colpi di sfottò. Das Mädchen la chiamavano. La ragazza, nella scia del maestro, del leader Helmut Kohl. «Domani come la facciamo fuori?», scherzavano davanti al boccale di birra quelli del partito. Poi ha vinto lei. La sua forza è stata quella di nascere in un Paese che le era già contro. E il basso profilo lo aveva imparato fin da piccola. Non è solo questione di scelte politiche, ma di stoffa. Talento. È tenacia e forza di resistere senza soffrirne, di crescere in un partito dove una donna non c'era mai stata, figurarsi una cancelliera al comando. Simile per certi aspetti alla Thatcher per la resistenza. Forti e impassibili. C'è voluta la Merkel prodotto di un impero fallito, appena arrivata nel partito, donna, dalla Germania dell'Est, e protestante - per modernizzare una democrazia cristiana ormai superata, rendendola più liberale e inclusiva su argomenti che vanno dalla leva militare al nucleare. Con lei, il principale partito cristiano democratico d'Europa ha abbandonato molte delle posizioni che hanno definito il conservatorismo tedesco dalla Guerra fredda agli anni '90. A partire dal ruolo che fino ad allora aveva avuto la donna nella società, con le famose le tre K: Kinder, Küche, Kirche (bambini, cucina, chiesa). Lei che di figli non ne ha mai avuti, «con un figlio avrei dovuto rinunciare alla politica»; divorziata dal primo marito e risposata con il professore di chimica Joachim Sauer. Un uomo discreto a tal punto da ritirarsi davanti ai fotografi: «Io non sono di alcun interesse per il pubblico». Eppure dicono sia proprio lui la sua inossidabile certezza. «Preferisco cancellare tre appuntamenti che mettere a rischio la mia relazione».
Insieme e metodici, quasi banali, come la birra al giovedì sera, la spesa al mercato sotto casa, di quell'appartamento senza lussi a Berlino dove sul campanello c'è scritto solo il nome del professor Sauer, le vacanze d'estate nel solito albergo senza pretese a Ischia, i fine settimana a Templin dove lei cucina e sparecchia.Quattro mandati, e grandi sfide, scelte non sempre popolari, la peggiore quando ha accolto un milione di profughi. Scelta che ha lasciato tanta rabbia, e che oggi la Germania le fa pagare.
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