Si alza il velo sull'ipocrisia delle femministe rosse. Vedono il patriarcato in Occidente, non in Iran

Pro Pal e anti-Israele tacciono sui diritti violati dagli islamisti. "Non una di meno" e le altre compagne scelgono il silenzio

Si alza il velo sull'ipocrisia delle femministe rosse. Vedono il patriarcato in Occidente, non in Iran
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Una delle conseguenze dell'arresto di Cecilia Sala in Iran è quella aver infranto il velo di ipocrisia del femminismo nostrano. Se ad essere arrestata è una giornalista italiana non legata al radicalismo di sinistra e per giunta in una nazione non occidentale, le femministe tacciono e ignorano la notizia. Collettivi, movimenti transfemministi, associazioni per i diritti delle donne sempre in prima linea quando si tratta di attaccare Israele e gli Stati Uniti non hanno trovato il tempo per scrivere una riga di vicinanza alla giornalista italiana arrestata.

Troppo impegnate a gridare contro l'inesistente patriarcato in Italia, hanno perso la voce quando si trattava di denunciare il vero patriarcato in Iran. Troppo preoccupate a puntare il dito contro una fantomatica restrizione dei diritti in Italia, si sono chiuse nel mutismo quando dovevano farsi sentire per il rispetto dei diritti nelle carceri iraniane. Dopo aver organizzato per mesi decine di manifestazioni contro il governo, contro Israele e per la Palestina, non hanno trovato in oltre una settimana un minuto di tempo per un fiaccolata (magari fuori dall'Ambasciata iraniana) in solidarietà di Cecilia Sala.

Il movimento transfemminista «Non una di meno», di solito molto attivo sui social network e solerte nello scrivere comunicati e organizzare manifestazioni, si è trincerato nel silenzio stampa. La pagina Instagram del gruppo di Roma è stata aggiornata ieri con un calendario degli incontri «assemblee delle donne e libere soggettività dei consultori» mentre il gruppo di Palermo ringrazia «per questo 2024 di sorellanza» dicendosi «Pronti per un 2025 di lotta» ma nulla sulla Sala.

Silenzio anche da parte di «Officina femminista», organizzazione «per maledire la violenza maschile» che tra bandiere della Palestina e «zone depatriarcalizzate» non è riuscita a scrivere due righe per la giornalista italiana. Non va meglio per il «collettivo transfemminista». «Cattive maestre» che non ha pubblicato nulla sui propri canali social.

Ma è tutta la fanfara di centri sociali, collettivi, ecofemministe a tacere sull'arresto di Cecilia Sala. Il collettivo Osa e l'organizzazione giovanile comunista Cambiate Rotta preferiscono celebrare i sessantasei anni della rivoluzione cubana che «trionfava» nel 1959 «sotto la guida di Fidel Castro e di quei rivoluzionari che in pochi anni hanno liberato Cuba dal colonialismo e dall'asservimento all'imperialismo statunitense».

Non ci stupiremmo se il prossimo post fosse in onore della «gloriosa rivoluzione iraniana» che ha in realtà condannato l'Iran a diventare una teocrazia islamica. Siamo certi che se l'arresto di Cecilia Sala fosse avvenuto in Israele o negli Stati Uniti, oggi leggeremmo i post indignati delle femministe e dei collettivi sempre in prima linea contro l'Occidente. Colpisce come non si rendano conto dell'ipocrisia alla base delle loro azioni: battersi per i diritti delle donne in Italia e non dire nulla su una nazione come l'Iran in cui vengono negate le libertà più basilari è l'ennesimo cortocircuito di un certo femminismo.

D'altro canto non bisogna dimenticare che l'Iran è il primo sostenitore di Hamas e di Hezbollah foraggiati in questi

anni e non stupisce che, chi dal 7 ottobre in avanti ha inneggiato all'intifada, oggi non spenda una parola di condanna per la dittatura iraniana in cui le donne come Mahsa Amini vengono uccise o le giornaliste arrestate.

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