La ricetta del centrodestra unito per tagliare spese, tasse e debito

La lezione di Cameron rilancia il modello proposto nel 2013. Così è possibile ridurre del 10% le uscite dello Stato e la pressione fiscale rilanciando i consumi

La netta vittoria di David Cameron è un eccellente segnale per noi. È una forte conferma della intuizione lungimirante di Silvio Berlusconi per quello che dovrà essere il nostro Partito repubblicano.

Riflettiamo. I laburisti di Ed Miliband, ancorato ai sindacati con tratti aggiuntivi di populismo per intercettare i voti in uscita verso gli euroscettici alleati di Grillo, si sono scontrati con i fatti: grazie a Cameron la disoccupazione in Gran Bretagna è al 6%, pressoché fisiologica. Nigel Farage e il suo Ukip, che alle Europee aveva riscosso un clamoroso successo grazie al ceto medio furibondo con la politica Ue, ha conquistato solo un seggio. Il pericolo di una vittoria del Labour ha fatto fuggire molti sostenitori, che alla fine hanno scelto i Tories. E così i Lib-Dem. L'eccellente risultato dei nazionalisti scozzesi dovrebbe far riflettere chi vuole relegare al passato la questione federale, che è invece un valore cui da noi il centrodestra è in grado di dare efficacia realizzativa. Insomma: ci pensi Salvini, riflettano i centristi, e la destra della Meloni. I segnali del Nord dicono: unità, concretezza in economia, difesa del ceto medio, attenzione alle problematiche autonomistiche, e l'alternativa vincente è fatta.

Guardiamo all'economia. Le chiavi del successo di Cameron sono state due: tagli alla spesa pubblica e corrispondente riduzione della pressione fiscale. Anche in questo caso, l'intuizione lungimirante di Silvio Berlusconi, che da ultimo nel programma elettorale del 2013 proponeva proprio questa ricetta per portare la nostra economia a crescere a un ritmo di almeno il 2%, stimolando così consumi e investimenti, quindi più gettito e più risorse per gli ammortizzatori sociali. Quindi più benessere.

Riduzione della spesa pubblica corrente (pari a 800 miliardi) di 80 miliardi in 5 anni (16 miliardi all'anno) e riduzione di pari importo della pressione fiscale, portandola dall'attuale 45% al 40%, sempre in 5 anni. I 16 miliardi all'anno vengono dalla riduzione del servizio del debito (6-7 miliardi all'anno); dal recupero dell'evasione ed erosione fiscale ( tax expenditures ) (5-6 miliardi all'anno); dalla riduzione dei consumi intermedi delle pubbliche amministrazioni (-2%: 2-3 miliardi all'anno); dalla riduzione della spesa per i dipendenti pubblici (-1%: 1-2 miliardi all'anno); dall'implementazione dei costi standard in sanità (-1%: 1-2 miliardi all'anno). I 16 miliardi all'anno vanno alla riduzione della pressione fiscale: metà alle famiglie e metà alle imprese.

A) Riduzione della pressione fiscale sulle famiglie, da realizzare attraverso l'introduzione del quoziente familiare (costo totale: 16 miliardi. Realizzabile in due anni) e di due sole aliquote Irpef: 23% e 33% (costo totale: 24 miliardi. Realizzabile nei successivi tre anni della legislatura).

B) Riduzione della pressione fiscale sulle imprese (8 miliardi all'anno): abolizione dell'Irap (costo totale: 34 miliardi. Realizzabile in poco più di quattro anni).

Così avremo tassi di sviluppo costanti sopra il 2% e capacità di creare occupazione in misura tale da colmare il nostro gap riportando il tasso di disoccupazione al suo livello frizionale (5-6%, cioè un milione, un milione e mezzo di disoccupati, come in Inghilterra). Con una creazione di almeno 3 milioni nuovi posti di lavoro in cinque anni. E con la riduzione della cassa integrazione al suo livello fisiologico, legato ai processi di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale. Altro che Jobs Act! Tutto questo è, già dal 1994, riassunto nella nostra equazione del benessere: meno tasse, più consumi, più investimenti, più crescita, più lavoro, più gettito, più welfare, più benessere. Realizzare questa formula è il segreto della vittoria. Lo è stato per Cameron lo scorso giovedì, lo sarà per noi prestissimo. Rispetto a tutto questo Renzi non esiste; Renzi è un ometto piccolo piccolo.

Una piccola nota finale: in momenti come questo le regole vanno spezzate, vanno rotte. E in questo caso l'esempio sono gli Stati Uniti d'America. Dopo la grave crisi del 1929 Franklin Delano Roosevelt fece proprio questo: cambiò le regole. Ebbe il mondo contro, ma andò avanti lo stesso. Dopo anni la Corte suprema degli Usa diede ragione a chi aveva fatto ricorso contro le nuove regole rooseveltiane, ma intanto, il keynesismo di fatto (i lavori) erano stati fatti e lo choc c'era stato. I nostri governanti dovrebbero riflettere su questo punto. E prendere esempio.

Renzi, invece, piccolo piccolo, è impelagato sulle tante tegole che continuano a cadere sul suo governo: dopo i dati sulla disoccupazione, con cui meno di una settimana fa l'Istat ha gelato gli entusiasmi del ministero del Lavoro; dopo la sentenza della Corte costituzionale, per cui il Mef dovrà trovare tra 11 e 16 miliardi da restituire ai pensionati; dopo le stime sulla crescita del Pil, che mostrano un aumento del divario tra Italia e media Ue; dopo i soldi per la riforma della scuola, che non ci sono; da ultimo mercoledì scorso è stato annunciato in via ufficiosa, ma attendibile, che la Commissione europea boccerà la norma sul reverse charge dell'Iva con cui lo scorso 27 ottobre in una lettera inviata al commissario Katainen, che, preoccupato, chiedeva chiarimenti, il ministro Padoan si impegnò a reperire 730 milioni per coprire le misure di spesa introdotte nella legge di Stabilità, e non solo. Come allora, anche mercoledì il ministro Padoan ha fatto il pompiere, arrampicandosi sugli specchi per tranquillizzare il suo presidente del Consiglio (degli italiani non importa a nessuno), dicendo che non ci saranno aumenti né di Iva né di accise.

Ma se gli aumenti di Iva e accise sono già legge, in virtù delle clausole di salvaguardia di cui sono pieni i provvedimenti economici del governo Renzi, come fa Padoan a negare l'evidenza? Perché lo fa? L'unico risultato che ottiene è quello di rendersi ridicolo, come già è avvenuto con il tesoretto e con tutte le altre strategie messe in piedi per compiacere il suo presidente, mirate a comprare consensi elettorali. Questa è la politica economica del governo Renzi. Che Dio ci aiuti! La Commissione europea ha cominciato a farlo per un po', ma viste le prese di posizione degli ultimi giorni, sulle pensioni prima, e sul reverse charge poi, evidentemente si è stufata anche lei del nostro premier pinocchio. Le prossime valutazioni arriveranno tra tre giorni. Ne vedremo delle belle.

La nostra sfida a Renzi va dall'economia all'idea di democrazia. Su questa base alternativa si fonda la nostra proposta. Oggi siamo indietro nei sondaggi di sei punti? Due anni fa i laburisti erano accreditati di circa dodici punti in più, sono andati sotto di sei. Vale anche per noi.

Finiamo però con un appello a Cameron. Congratulazioni vivissime. Ma non arrenderti alla sindrome isolana. Allarga il benefico influsso britannico all'Europa, combattendo l'egemonia tedesca e non ritirandoti.

La trattativa per cambiare le regole dell'Europa, per sburocratizzarla, non può essere una partita a due tra Regno Unito e Germania. Metti entrambi i piedi in Europa. Darsi alla fuga significa condannarsi al ruolo di potenza minore e in fondo egoistica. E alla lunga questo non paga mai in termini di avvenire e di prosperità.

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