"La Sindone ci insegna che dopo la morte arriva la resurrezione"

L'arcivescovo di Torino spiega l'ostensione straordinaria di sabato: "Chiesta dai fedeli"

"La Sindone ci insegna che dopo la morte arriva la resurrezione"

Un'ostensione eccezionale, una venerazione straordinaria, il sabato santo, per chiedere la fine della pandemia e unire in preghiera il mondo intero. L'ostensione della Sindone non avveniva dal 2015. Sabato prossimo, in una diretta tv e social, a partire dalle 17, si terrà la preghiera voluta dai torinesi, accolta dal vescovo e accordata da Papa Francesco che, della sindone, è il proprietario (lasciata in eredità da Umberto II di Savoia nel 1983). Il custode è l'arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia, che al Giornale spiega il senso di questa iniziativa alla vigilia della Pasqua.

Che significato ha questa preghiera straordinaria davanti alla Sindone?

«Certo colpisce l'immaginazione che ci sia, a pregare di fronte alla Sindone, una sola persona. Dal 1978 in poi siamo abituati a ostensioni che richiamano milioni di pellegrini. Sappiamo bene che questa persona rappresenta tutti coloro che vorrebbero essere lì e non possono, e che saranno comunque davanti alla tv e sui social. E la preghiera di sabato, ancor più di altre passate, è nata davvero dalla coscienza della gente, dalle migliaia di messaggi che ho ricevuto. Tutti chiedevano la stessa cosa: che quell'immagine, quel Volto, fosse presente a tutti noi in questi giorni difficilissimi».

Una venerazione che ai tempi del coronavirus diventa social...

«Ci saranno una diretta televisiva (Rai e TV2000) e una social. Grazie alla pagina facebook Sindone 2020 sarà possibile riprendere i temi di questo momento straordinario, con l'intervento di testimoni del momento che stiamo vivendo (nel campo dell'economia e lavoro, della cultura, della sanità, di chi ha sperimentato dal vivo l'epidemia, del volontariato, del mondo ecumenico). Al centro rimane, comunque, la riflessione che la Sindone ci comunica: dalla morte, dal silenzio terribile nasce una speranza precisa, testimoniata dalla risurrezione del Signore. Per questo ho scelto come motto per questo evento la frase Più forte è l'amore. Più forte della morte, più forte delle grandi difficoltà di oggi».

Come è possibile vivere questa settimana santa senza potersi recare in Chiesa?

«Vedo che in questi giorni da più parti si è acceso un dibattito, più o meno interessato, sulle condizioni in cui siamo chiamati a vivere questa Settimana Santa. A me pare che la Chiesa italiana abbia preso una posizione chiara fin dall'inizio: tutti i cittadini di questo Paese sono corresponsabili di quanto si sta facendo per fermare il contagio. Dunque anche le comunità cristiane devono fare la propria parte. Questo è un sacrificio, certo: perché le radici profonde e antiche del Cristianesimo in Italia hanno prodotto, lungo i secoli, tradizioni molto sentite, momenti che ci fanno sentire popolo: penso alle processioni, alle sacre rappresentazioni, alle iniziative che non sono direttamente connesse con la liturgia ma che testimoniano un attaccamento profondo della gente alle proprie radici cristiane. Rinunciare a tutto questo, anche per una sola volta, è un sacrificio. Ma io credo che sia anche un modo molto concreto per aiutarci a riflettere sul senso di una appartenenza alla Chiesa che a volte diamo per scontato».

La sua diocesi come sta rispondendo?

«La Chiesa di Torino porta con sé questo dono della Sindone in ogni momento. Siamo abituati ad averla con noi anche se non la si vede quasi mai ma è presente nelle preghiere, nelle immagini nelle chiese, persino nel linguaggio della gente torinese.

E la diocesi sta rispondendo nella linea della Sindone: cioè moltiplicando gli sforzi di carità, solidarietà, fraternità. Da quando è cominciata l'emergenza parrocchie e comunità, case religiose e famiglie hanno inventato modi nuovi di aiuto, rispettando le limitazioni imposte dall'emergenza».

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