È più imbarazzante per un candidato una condanna di due mesi fa, o una condanna risalente a 36 anni fa? In linea cronologica si direbbe la prima, il linea politica senza dubbio la seconda, perché riguarda il candidato del centrodestra in Lazio, non quello di centrosinistra, per definizione moralmente superiore anche se tuttora pienamente impicciato con una storiaccia di soldi indebitamente sottratti alle casse pubbliche. Eppure tutte le attenzioni della stampa di area sinistra, in particolare Repubblica, sono rivolte a Francesco Rocca, presidente della Croce Rossa italiana, indicato dalla Meloni e scelto dalla coalizione come candidato governatore nel Lazio, dove il «campo largo» progressista è diviso e quindi proiettato ad una possibile (anzi dicono i sondaggi: probabile) sconfitta.
L'unica, allora, è cercare di affossare la figura di Rocca, andando a scavare nel suo passato, anche quello adolescenziale va bene. È riemersa perciò la condanna per spaccio, nel lontano 1986, un periodo particolare della vita di Rocca: «All'epoca avevo solo 19 ed ero pieno di problemi e fragilità. Mia madre da lì a poco sarebbe morta per un cancro, ero molto sofferente e iniziai a usare gli stupefacenti. Vivevo ad Ostia, che non è proprio un ambiente tranquillo, e sono finito in un giro di amicizie sbagliate. Ma ho pagato il conto con la giustizia» ha spiegato Rocca. Poi si è laureato in legge, è diventato avvocato, parallelamente impegnato nel volontariato, in prima linea nella lotta contro la mafia (per questo ha vissuto cinque anni sotto scorta), poi nel settore della sanità pubblica, fino alla Cri. Senza mai rinnegare l'area politica da cui viene l'ex militante del Fronte della Gioventù, che infatti ha mantenuto rapporti e relazioni con il mondo della destra a Roma. Tutto materiale funzionale, soprattutto per Repubblica, ad una character assassination, come si sarebbe detto in passato se a rivangare nel passato sono i giornali di destra (in alternativa si può utilizzare il termine «dossieraggio»).
Tutto ciò mentre il candidato del centrosinistra non è affatto immune da guai giudiziari, molto più recenti peraltro. L'attuale assessore alla Sanità della giunta Zingaretti, Alessio D'Amato, candidato di Pd (e alleati minori) alla Regione Lazio, è infatti fresco di una condanna della Corte dei conti che ha disposto un risarcimento di 275mila euro per un danno erariale relativo ai contributi pubblici erogati dalla Regione Lazio alla Fondazione Italia-Amazzonia onlus, che risulta formalmente ancora attiva. Secondo i magistrati i fondi sarebbero stati utilizzati indebitamente, per finanziare l'attività politica dell'associazione «Rosso-Verde», di cui D'Amato è stato presidente fino al 2018 e quella del suo gruppo consiliare in Regione. «Sentenza ingiusta, farò appello» ha detto D'Amato, che ha scampato la condanna penale per truffa grazie alla prescrizione (che non significa assoluzione, rimarcherebbero gli articoli se fosse un candidato di un'altra parte politica). Una «sentenza ingiusta» che però un peso politico lo ha, visto che il M5s ha chiuso definitivamente le porte ad una alleanza elettorale con il Pd nel Lazio, come fatto in Lombardia, proprio sulla base di questa macchia nel curriculum di D'Amato, tanto più nel bel mezzo del Qatargate che investe in pieno il gruppo parlamentare del Pd a Bruxelles. «La questione morale è la premessa di ogni azione politica. Io non posso accettare che in una mia lista del M5s, ci possa essere una persona che deve alla Regione Lazio quasi 300mila euro, perché ha creato un danno erariale accertato. Non ci giriamo intorno: non posso accettarlo come candidato alla Regione» ha detto il leader M5s, Giuseppe Conte.
E un accordo con il M5s era l'unica carta che il Pd poteva usare per sperare di giocare la partita contro il centrodestra almeno nel Lazio. Forse è più pesante l'ombra del danno erariale per un aspirante governatore, rispetto ad una condanna di 36 anni fa? Chissà.
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