Sinistra, la fabbrica delle "Cose rosse"

Da Moretti a D'Alema, dalla Schlein a Letta: alla ricerca del partito perduto

 Sinistra, la fabbrica delle "Cose rosse"

“Se fosse proprio questo il momento buono per immaginare una cosa inedita, diversa, un'operazione pirata? Mi sembra che il quadro politico schiacci le forze più fresche della società, come possono mobilitarsi oggi tutti i ragazzi che riempiono le piazze? La soluzione non è rientrare in un Pd in grande confusione, ma ricostruire l’intero campo su basi più coerenti”: così parlò Elly Schlein, vicepresidente di Regione Emilia-Romagna, incoronata leader dalla copertina del settimanale l’Espresso del 6 settembre 2020, ospite semi-fissa del salotto politico di Lilli Gruber su La7. È stata la più votata alle elezioni regionali del 2020 (22.098 voti nella lista dei Coraggiosi che ne ha presi 81.400, pochini per un movimento di sinistra nella più rossa delle regioni italiane).

La numero due di Stefano Bonaccini è intervenuta nel dibattito sul Partito democratico con un video di una quindicina di minuti sulla sua pagina Facebook il 9 marzo. Dunque per la Schlein serve un’operazione pirata, cioè a sinistra del Pd (già spostato a sua volta notevolmente a sinistra dal neo segretario Enrico Letta che ne ha indicato le priorità nello ius soli e nel voto ai sedicenni). E in cosa consiste quest’operazione alla Jack Sparrow? Una “cosa inedita” come dice la vicepresidente dell’Emilia- Romagna, una “cosa rossa” come titola laRepubblica riportando il discorso on line della Schlein. La Cosa. Boom! Una trovata talmente nuova da essere stata lanciata dal regista Nanni Moretti nel 1990, 31 anni fa, come titolo di un suo documentario, “La cosa” appunto, che mostrava il dibattito tra militanti comunisti in alcune sezioni italiane, mostrati in presa diretta, senza alcun commento. Erano riunioni che si erano svolte sul finire del 1989, dopo che il 12 novembre di quell’anno il segretario del Pci Achille Occhetto aveva annunciato a Bologna, davanti ad alcuni partigiani riuniti in una sala comunale nel rione della Bolognina, la fine di un mondo: “Non continuare su vecchie strade ma inventarne di nuove per unificare le forze di progresso”. Il 3 febbraio 1991 il Pci sarebbe stato sciolto per lasciare spazio al Pds, partito democratico della sinistra. Occhetto come tutto il mondo aveva assistito il 9 novembre 1989 alla caduta del Muro di Berlino e alla fine del blocco sovietico. Si trattava di discussioni drammatiche, in un periodo storico straordinario e che privava molti italiani di un pezzo delle loro stesse vite, perché questo era per quei militanti il partito comunista italiano. Normale che in quel contesto di smarrimento venisse utilizzato “cosa” per indicare un partito che ancora non era nato e di cui si sapeva poco o nulla. Poteva mancare “La Cosa 2”? ovviamente no. Solo che non si trattò di un altro documentario firmato da Nanni Moretti, no.

Fu Massimo D’Alema a lanciare il sequel della Bolognina nell’estate del 1997. Con “Baffino di ferro” regista di un film da incubo soprattutto per uno spettatore: l’allora presidente del Consiglio e leader dell’Ulivo Romano Prodi. Il quale è uscito vincitore dalle elezioni politiche del 21 aprile 1996. Ma quasi subito il segretario del Pds Massimo D’Alema si è posto come il difensore dei partiti rispetto alla coalizione, l’Ulivo. Il 9 marzo 1997 il segretario “bombarda” Prodi e l’Ulivo: “L’idea che si possa eliminare la politica come ramo specialistico per restituirla ai cittadini è un mito estremista che ha prodotto o dittature sanguinarie o Berlusconi”. Il 14 febbraio 1998 a Firenze, agli stati generali della sinistra, D’Alema lancia l’idea di un cantiere politico che riunisca pidiessini, socialisti e cristiano-sociali: la proposta in un attimo diventa la “Cosa 2”. Diciamo che i precedenti dovrebbero sconsigliare Elly Schlein dall’usare nel 2021 la stessa indefinita parola per ciò che ha in mente a sinistra: la “Cosa 3” potrebbe essere l’ultimo capitolo di una saga sui viali del tramonto, non il primo capitolo di un libro nuovo. Sui miti fondativi di questa nuova “cosa”, pardon, sinistra, la Schlein è chiara: “Qualcuno guardando alle Sardine ha ricordato quando abbiamo fatto Occupy Pd contro le larghe intese nel colpo di mano delle forze conservatrici ci sono elementi che ci riportano dritti dritti ai 101 franchi tiratori che affossarono Prodi, Bersani e l'alleanza del centrosinistra”. Abbiamo già ricordato su ilGiornale.it, ma sarà bene ribadirlo, che si tratta di falsi miti fondativi. Infatti i 101 contro cui la Schlein divenne pasionaria non furono i parlamentari presunti “traditori” che il 19 aprile 2013 affondarono al quarto scrutinio per le elezioni del Presidente della Repubblica la candidatura di Romano Prodi al Quirinale dopo averlo acclamato poche ore prima al teatro Capranica. Ma furono i difensori di una linea politica che, dal momento che il Pd aveva perso le elezioni politiche del 24 e 25 febbraio 2013, era obbligata. Cioè trovare un accordo o con il Movimento 5 Stelle con il centrodestra di Berlusconi per eleggere il nuovo Capo dello Stato. E che infatti fu la linea politica ufficiale del partito democratico. La proposta di acclamare Romano Prodi come candidato unico al Quirinale venne avanzata alla platea del teatro Capranica dal segretario Pierluigi Bersani, in cerca di una disperata via d’uscita da evidenti difficoltà.

Si trattò di una forzatura che pretendeva di stravolgere del tutto la linea ufficiale del partito: “la politica degli applausi”, la definì qualche dirigente storico della sinistra. Infine ciò che lascia maggiormente perplessi è l’atteggiamento culturale di questa permanente “occupazione del Pd”: cioè di questa pretesa di dettare la linea al più grande partito della sinistra senza esservi iscritti. È di Mattia Santori, leader delle Sardine, mai iscritto al Pd da lui definito “tossico”. Ed è di Elly Schlein, che lasciò il Pd l’8 maggio 2015 con questo post su Facebook: “Vale la pena di lottare dentro al partito finché c'è il partito, ma io temo che il partito non esista più e si sia trasformato in un'altra cosa, molto diversa da quella cui avevamo entusiasticamente aderito e da ciò che era nato per essere”. Cioè la Cosa che allora era il Pd era diversa dalla Cosa che la Schlein credeva che fosse. E allora cosa successe? Che lei se ne andò sbattendo la porta contro l’allora segretario e presidente del Consiglio Matteo Renzi. Cioè contro l’uomo che prima si era preso il partito grazie agli errori di Bersani e poi si era preso Palazzo Chigi grazie all’incolore stagione di governo di Enrico Letta, attuale segretario del Pd. La cui svolta a sinistra avrà conquistato la Schlein, no? Macchè! Ecco cosa dice lei su un eventuale ritorno di fiamma: “Non penso sia il momento di rientrare in un partito che non ha risolto le sue contraddizioni, e il cui segretario è stato costretto a dimettersi proprio per quelle contraddizioni. Serve uno schema nuovo che metta al centro giustizia sociale, lavoro di qualità e attenzione all'ambiente che non sia green washing”.

Nell’attesa di riprenderci dal green washing, abbiamo intanto perso il conto delle Cose di sinistra: eravamo a tre, poi c’è la Cosa 4 di Letta e la Cosa 5 della Schlein (la 3 è saltata per scaramanzia). Appuntamento alla Cosa 6! Sempre su questi schermi!

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