Si sono sollevati (finalmente!) la mascherina dell'ambizione e si contendono il passaporto di leader che Giuseppe Conte ha requisito per emergenza e per decreto. E infatti, da ieri, non si sono solamente aperte le frontiere fra regioni, ma si sono ufficialmente depositate le candidature per il dopo Conte, il curatore fallimentare del populismo gialloverde che da mesi si spaccia per amministratore delegato dei progressisti: «Lo posso ormai dire. Mi sento più confortevole con questo esecutivo».
È dunque una cerimonia di liberazione dalle angosce, anche questa nuova smania di «domani», ed è un segno di ripartenza l'assembramento di libri in uscita, testi di vanità che a sinistra precedono sempre le candidature, anticipazioni che non sono mai destinate ai lettori, ma agli elettori. Non si vogliono qui provocare gli anti-lombardi, ma il più veloce di tutti, è stato il sindaco di Milano, Beppe Sala, che non ha sprecato l'opportunità del tempo sospeso, il lockdown come stimolo creativo. Ha pubblicato per Einaudi il libro «Società: per azioni», che è un biglietto di sola andata Milano-Palazzo Chigi. Per entrare nel Lazio di Nicola Zingaretti (che impone la temperatura per ordinanza) ha curato la sua febbre liberista, quella che lo ha fatto conoscere come city manager di Letizia Moratti e commissario Expo. In questi anni di «convalescenza», a Palazzo Marino, ha sviluppato anticorpi socialisti e scoperto, addirittura, di avere piastrine grilline. Al Corriere della Sera ha dichiarato di essere stato il primo a sinistra (ma da quando lo è? Non si è sempre vantato di non aver preso la tessera del Pd?) a dire che bisognava dialogare con i 5 stelle: «Ho una consuetudine con Beppe Grillo: ogni tanto ci parliamo, ci vediamo. Ha idee interessanti».
Anche la recensione è, a sua volta, un altro biglietto da visita, «candidato premier offresi». La Repubblica l'ha affidata a Enrico Letta che da anni rispetta il distanziamento sociale dalle miserie italiane (insegna ancora in Francia) salvo intervenire come epidemiologo delle crisi sistemiche, del sentimento anti-europeista, insomma mezzo Gentiloni e mezzo Romano Prodi (stato clinico: sempre ossessione Quirinale) ed eccellenza della politica disoccupata. Il Pd gli ha «offerto» Roma, proprio come il M5s l'ha proposta all'altro inoccupato Alessandro Di Battista. Letta ha naturalmente rifiutato perché si pensa già in ticket con Sala («Un uomo concreto che ci stimola a proiettarci nella modernità»).
È quanto di più lontano, e non solo esteticamente, possa esserci da Stefano Bonaccini, il governatore che ha conservato l'Emilia-Romagna, la Lepanto che il Pd, come i cristiani, crede di aver difeso, proprio in mare e grazie alle «furono» Sardine, dall'invasione ottomana di Matteo Salvini. In pratica è un prodotto da «laboratorio». Per rendere più «cool» la sua figura, si è affidato ai virologi della comunicazione e a quel guru Daniel Fishman della società Consenso. Per gonfiarne l'immagine gli hanno consigliato di gonfiare i bicipiti e di inselvatichire la sua barba. E perfino la miopia gli hanno «corretto» con i vetri a specchio da coatto al posto degli occhialini da topo che erano di Antonio Gramsci e che sono stati prerogativa di sinistra. Da Bologna, scruta con il binocolo il meridione e i suoi colleghi governatori dove si sperimentano monarchie sudamericane, sceriffi da cozze e babà. Con il simbolo del lanciafiamme, Vincenzo De Luca vuole compiere la sua scalata al cielo forte dell'endorsement di Naomi Campbell («Se solo avessi avuto qualche anno in meno») e poco distante rimane in agguato il sempre tarantolato Michele Emiliano che impone l'autosegnalazione per i turisti, si inventa quarantene made in Puglia. Ed è forse questa la carta vincente di Nicola Zingaretti, il medico della mutua di governo, il mite che in segreto spera di farcela per sfinimento (un po' come Dario Franceschini) il «confinato» con il plasma invincibile. In questo manicomio di aspirazioni si fa piccolo vicino a Conte, ma non rinuncia alle sue vecchie fantasie giovanili che sono più Stato nelle aziende. Per non spaventare nessuno spedisce lettere ai giornali e lancia patti di rinascita alle imprese, auspica un «clima di concordia nazionale» perché questa «volta non possiamo sbagliare».
Che a sinistra sbaglino sempre, è la convinzione di Carlo Calenda, il grande demolitore che cerca il posto nel mondo e (anche lui) in uscita con il suo libro dal titolo definitivo «I mostri». C'è sicuramente da rallegrarsi. A pensarci non è solo eccezionale compilare l'elenco dei rivali di Conte, ma immaginare il dopo Conte: il precario che ormai si crede insostituibile.
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