I ribelli islamisti siriani del Comitato di liberazione del Levante continuano la loro rapida avanzata e hanno conquistato ieri, dopo tre giorni di duri combattimenti con i governativi, la strategica città di Hama. Situata 110 chilometri a Sud di Aleppo di cui avevano preso il controllo appena una settimana fa, Hama è molto più che la quarta città più grande della Siria: è strategica perché si trova all'incrocio delle principali direttrici Nord-Sud ed Est-Ovest del Paese, e da essa si controllano spostamenti di truppe e di merci; ma è anche fortemente simbolica perché nel 1982 fu teatro dell'orrenda strage di decine di migliaia di oppositori con cui Hafez el-Assad, padre dell'attuale dittatore Bashar, confermò nel sangue la sua ferrea presa sul potere in Siria, lasciando un enorme e mai sopito risentimento.
La repentina caduta di Hama dove i ribelli controllano la sede della polizia, il carcere e soprattutto la vicina base aerea - dice molto dell'attuale complessa situazione in uno dei Paesi chiave del Medioriente. Manifesta la debolezza estrema delle forze governative: ammesso e non concesso che ad Aleppo fossero state colte di sorpresa, certamente questo non è accaduto a Hama. In secondo luogo, dimostra l'incapacità dei tre alleati di Assad Russia, Iran e la milizia sciita libanese Hezbollah, che di Teheran è strumento di contenere militarmente la spinta degli islamisti. Terzo punto, il fatto che ieri la contraerea assadista abbia abbattuto due droni nemici nei cieli di Damasco evidenzia le ambizioni dei ribelli: proseguire la marcia verso Sud, impadronirsi di Homs (terza maggiore città siriana) per poi andare fino in fondo, cacciare dalla capitale il dittatore e instaurare un proprio regime.
Questo potrebbe però rivelare caratteristiche inquietanti, essendo il gruppo Hayat Tahrir al Sham (in sigla Hts) che guida le forze del Comitato la branca armata di un filone estremista islamico che era in passato emanazione diretta dei terroristi di Al Qaida. Oggi i capi di Hts si sforzano di mostrare nei territori che hanno occupato un volto conciliante, ma è più che lecito dubitare della loro sincerità. In un quadro estremamente complicato, certamente esistono legami di natura tattica con la Turchia di Erdogan, che ieri ha esortato Assad a favorire urgentemente una soluzione politica.
Le ricadute più importanti, che vanno ben oltre il quadro regionale, riguardano però l'Iran e la Russia. La Siria rappresenta per entrambi un asset prioritario. Teheran la usa come via di transito e base per la sua guerra contro Israele, che conduce prevalentemente tramite Hezbollah; quest'ultima sostiene in armi da molti anni il traballante regime di Assad, ma oggi è paralizzata dopo i durissimi colpi che ha subito dagli israeliani, mentre lo stesso Iran a sua volta indebolito incontra difficoltà logistiche a inviare aiuti militari in Siria, e finora ha potuto spedire solo qualche centinaio di miliziani sciiti iracheni.
Per la Russia, la situazione è anche più preoccupante e complessa. Essa possiede sulla costa siriana la sua unica base navale mediterranea, e se l'avanzata islamista isolerà la provincia di Latakia dove si trova il porto di Tartous che la ospita, dovrà scegliere se evacuarla o difenderla.
Nella seconda ipotesi, non disponendo al momento di forze adeguate, dovrà ricorrere a mercenari smobilitati dall'Africa oppure dirottare uomini dal fronte ucraino, dove già è costretta a ricorrere a militari nordcoreani per difficoltà negli arruolamenti. Una riprova del fatto che l'eroica resistenza di Kiev indebolisce l'Asse dei dittatori anche su altri fronti di questa guerra mondiale che è già in corso.
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