Dove sia Bashar Assad non si sa. Ma poco importa. Ovunque sia il suo regno è all'epilogo. I ribelli avanzano da nord, est e sud e Damasco è ormai circondata da tre lati. Ieri i drusi nel sobborgo orientale di Jaramana hanno abbattuto la statua di Hafez, padre di Bashar. I miliziani affacciatisi da sud controllano invece la periferia meridionale di Darraya. Con le avanguardie jihadiste a una decina di chilometri dal centro le truppe governative non sono più in grado di ricevere rifornimenti. Dunque i comunicati della Presidenza siriana che danno Bashar ancora al lavoro nel palazzo di Tishreen hanno poca rilevanza.
L'unica variante su cui interrogarsi è quale sarà la sorte del Presidente. Nefasta se è ancora nella capitale. O se si ostinerà a restarci. Semplicemente infelice se, invece, ha già raggiunto moglie e famiglia in quel che si preannuncia un forzato esilio con fonti che hanno riferito alla Cnn che non si trova da nessuna parte a Damasco. Ma ora più della sua sorte conta quella del Paese. Anche perché la sola preoccupazione di alleati e nemici è come dividerselo. La grande spartizione è iniziata a Doha durante l'incontro di ieri tra il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov e i suoi omologhi di Iran e Turchia Abbas Araghchi e Hakan Fidan. Il disegno della Turchia è fin troppo chiaro. Le sue pedine sono le milizie jihadiste di Hayat Tahrir Al Sham guidate dall'ex leader alqaedista Abu Mohammad al-Jolani e quelle, altrettanto integraliste, coalizzate soto la sigla del Syrian National Army (Sna - Esercito Nazionale Siriano). Il ruolo di Jolani è per ora fondamentale in quanto leader della fazione più agguerrita formata da ex-militanti di Al Qaida e dell'Isis. Ma vista la sua scarsa affidabilità Ankara potrebbe sbarazzarsi di lui dopo la conquista di Damasco. Le squadracce dell'Ans, coordinate dai servizi segreti di Ankara, sono invece fondamentali per eliminare i curdi e occupare le zone sotto il loro controllo al confine con la Siria. Un'operazione essenziale per rimandare a casa i tre milioni di rifugiati siriani presenti sui propri territori e instaurare a Damasco un governo fantoccio finanziato con i soldi del Qatar e appoggiato dalle milizie della Fratellanza Musulmana. In tutto questo la quadratura del cerchio sono gli accordi con Mosca. Costretta a rinunciare a gran parte della forza aerea dispiegata un tempo nella base aerea di Hmeimim e senza più i mercenari della Wagner usati e sacrificati in passato per rimediare ai rovesci dell'esercito siriano Mosca ha ormai rinunciato a soccorrere Bashar. Ora si accontenterebbe di salvare la base navale di Tartus, indispensabile per mantenere una presenza navale nel Mediterraneo, e quella di Hmeimim. Ma riuscirà a farlo solo se Ankara permetterà la sopravvivenza di una vestigia di stato siriano con capitale Latakia dove garantire protezione alle minoranze alawite cristiane e sunnite che rischiano la vendetta jihadista per aver collaborato con Mosca.
Ma in queste ore anche Israele e Stati Uniti iniziano a fare i conti con il rischio di una Damasco in mani jihadiste (anche il ministro degli estewri Antonio tajani ha fatto sapere che «l'ambasciata pronta a organizzare evacuazione italiani»). Il premier israeliano ha convocato il Gabinetto di Sicurezza e mobilitato l'esercito nella zona del Golan dove i ribelli, ormai a ridosso del confine, minacciano le postazioni Onu. Donald Trump invece ha diramato un comunicato in cui spiega che gli Stati Uniti non devono «immischiarsi» nella situazione. «La Siria - scrive - è un disastro, ma non è nostra amica, e gli Stati Uniti non dovrebbero avere nulla a che fare con questo. Questa non è la nostra lotta Non lasciamoci coinvolgere».
Un messaggio a dir poco ambiguo in cui molti leggono i timori di un trappolone dell'ultima ora organizzato dagli apparati di sicurezza dell'amministrazione Biden. Apparati pronti a chiudere un occhio sulla travolgente avanzata dei jihadisti appoggiati dalla Turchia pur di lasciare in eredità a Trump il groviglio di una Siria in mano alle milizie ex-alqaediste.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.