Soci occulti e strani affari. Il Salotto di Milano fa gola agli avventurieri

Bandi aperti per la Galleria Vittorio Emanuele. Incroci oscuri tra Italia, Albania e Giappone

Soci occulti e strani affari. Il Salotto di Milano fa gola agli avventurieri

Milano - È il cuore della città, il suo simbolo, la calamita dove una volta i milanesi del popolo portavano in gita i figli («te porti in Galeria a vedè i sciur che mangen el sorbett»), e dove oggi sciamano muri compatti di turisti. Nei suoi centocinquant'anni di storia, la Galleria Vittorio Emanuele II è molto cambiata ma è rimasta in fondo sempre uguale, vetrina e anima della metropoli. Qualcosa però adesso si muove, dopo che il Comune - su sollecitazione dell'autorità Anticorruzione - ha deciso di aprire i bandi di concorso per i locali affacciati al suo interno: due da subito, un altro grappolo nel prossimo futuro. A puntare alla Galleria non sono i marchi storici del made in Italy né le griffe internazionali ma un nuovo tipo di imprenditori. Una piccola galassia dove si incrociano italiani, albanesi, giapponesi, legati da un viluppo di partecipazioni incrociate non sempre facili da sbrogliare: e che a loro volta portano ad altri capitali già sbarcati tra queste eleganti pareti.

INTRECCI FUORILEGGE

Solo nelle prossime settimane il Comune aprirà le buste con le offerte economiche per conquistare i due locali messi all'asta: uno affacciato sul braccio principale, quello che va da piazza Scala a piazza Duomo, indicato nella gara come «lotto 1»; l'altro sul braccio laterale verso via Ugo Foscolo, il «lotto 2». Tuttavia la faticosa analisi delle liste dei concorrenti (cinque per ogni lotto) permette fin d'ora di dire che non tutto fila come dovrebbe. Se non altro perché sembra violato un criterio di base della gara, che proibisce allo stesso soggetto di concorrere per entrambi i locali, sia direttamente sia attraverso incroci societari. Una parte significativa delle offerte infrange di fatto questa regola. Ma, questioni procedurali a parte, a colpire è anche lo sbarco in questo affare di imprenditori finora impegnati in operazioni assai più esili, e che puntano adesso a un salto di qualità tanto prestigioso quanto impegnativo.

QUESTIONI DI CUORE

A dire il vero, a presentare di fatto due domande per i due lotti è anche un veterano della ospitalità milanese (nonché ex politico), Roberto Bernardelli, padrone di due alberghi di lusso. Concorre per il lotto 2 con la Carola srl, di cui è consigliere sua moglie Vesna Zarkov. La quale presenta domanda anche per il lotto 1 attraverso la Micedo srl, di cui prima di lei era amministratore il marito e di cui lo stesso detiene il 51 per cento (attraverso Carola srl).

Se l'incrocio Bernardelli-Zarkov è quasi alla luce del sole, più complesso è scavare nei rapporti che legano altri pretendenti. A contendersi il lotto 1 sono, tra gli altri, la Molino 6-678 e una Ati (una cordata temporanea) formata dalle società Money ed Edamame. Ognuna ha legami con società che concorrono al lotto 2. Amministratore della Molino 6-678 è Ivan Colombo, ex amministratore della Prima C, che partecipa per il lotto 2.

Questa Prima C è una impresa interessante. Risulta di proprietà dei cittadini albanesi Enri Palla e Gentian Koko, e ha un capitale sociale di appena 2mila euro. I due sono amministratori da meno di un anno e fin qui la loro società ha gestito un bar nel mezzanino della metropolitana di Duomo (che era anche sede legale). Palla infine è socio nella Nausicaa degli Abbate, una famiglia di origine napoletana da anni attiva in edicole e bar sempre delle stazioni della metro.

SCATOLE... GIAPPONESI

Più vasto l'intreccio tra Money ed Edamame con un'altra Ati che concorre per il lotto 2: si tratta in pratica dello stesso asse, una alleanza tra napoletani e giapponesi. Dietro la Edamame c'è il nipponico Shintaro Akatsu, che è contemporaneamente il titolare della Safe, la società pretendente del lotto 2 insieme a una napoletana di nome Pinterrè. Di quest'ultima era amministratore Carlo Pane, un sardo trapiantato a Napoli, oggi a capo della Money.

Money e Pinterrè appartengono alla stessa orbita partenopea, già robustamente presente con marchi importanti nel centro cittadino e persino nel cuore della Galleria: sotto l'insegna «Regina», dove una volta c'era una parte della Banca Cesare Ponti, una grande e rutilante pizzeria è gestita dal 2014 grazie a un appalto comunale dalla Vanilla, controllata dalla Pinterrè e amministrata dallo stesso Pane. E da qui il giro si allarga.

L'amministratore della Pinterrè si chiama infatti Gianluca Lupo ed è amministratore anche della Lievito Madre, società che in largo Corsia de' Servi gestisce Sorbillo, nome leggendario della pizza napoletana sbarcato recentemente a Milano. Vicino di casa di Sorbillo è il ristorante giapponese Izakaya Sampei, posseduto dal solito Shintaro Akatsu. Mentre una costola di Sorbillo, che fa la pizza fritta in via Agnello, è controllata dalla Arpacaio srl, amministrata a sua volta da Sergio Maiorino che guida anche la Vanilla (quella nella ex Banca Ponti). E non è tutto: la Arpacaio è controllata al 50 per cento dalla Ciao Pizza srl. L'ex presidente della Ciao Pizza è il napoletano Massimo Sanità, oggi socio con il 46 per cento (attraverso Media P) nonché amministratore della F&C group che gestisce la catena Fresco e Cimmino, presente accanto alla Galleria con un grande locale in via Foscolo e nel centro di Milano con diverse postazioni di prestigio.

Una cordata, come si vede, assai alacre e complessa da scandagliare. Tanto da chiedersi quale sia la necessità di un viluppo simile di sigle e di amministratori.

Una risposta però è possibile: la Vanilla non avrebbe mai potuto partecipare direttamente al bando di gara per il semplice motivo che è già robustamente morosa nei confronti del Comune, avendo maturato un arretrato per affitti non pagati dei locali della ex Banca Ponti per oltre 35mila euro. Invece così, grazie allo «schermo» Pinterrè, la partecipazione alla gara è possibile. Gli spazi dorati della Galleria fanno gola. E Palazzo Marino non ha nulla da dire?

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